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domenica 24 dicembre 2017

Storia del cinema : INDIANA JONES (colonna sonora)




Colonna sonora del film Indiana Jones eseguita dai MaBerliner (mio video).

La storia di Babbo Natale


focus.it

San Nicola e la leggenda di Babbo Natale

Il mito di Babbo Natale nasce dalla leggenda di san Nicola, vissuto nel IV secolo, che si festeggia tradizionalmente il 6 dicembre: secondo la tradizione, san Nicola regalò una dote a tre fanciulle povere perché potessero andare spose invece di prostituirsi e - in un'altra occasione - salvò tre fanciulli.

Nel Medioevo si diffuse in Europa l’uso di commemorare questo episodio con lo scambio di doni nel giorno del santo (6 dicembre). L'usanza è ancora in auge nei Paesi Bassi, in Germania, in Austria e in Italia (nei porti dell’Adriatico, a Trieste e nell’Alto Adige): la notte del 5 dicembre in groppa al suo cavallino fa concorrenza a Babbo Natale. I bambini cattivi se la devono vedere con il suo peloso e demoniaco servitore, mentre il pio uomo lascia doni, dolciumi e frutta nelle scarpe dei più meritevoli.

TRADIZIONI NATALIZIE. Nei Paesi protestanti san Nicola perse l’aspetto del vescovo cattolico ma mantenne il ruolo benefico col nome di SamiklausSinterclaus Santa Claus. I festeggiamenti si spostarono alla festa vicina più importante, Natale.
L’omone con la barba bianca e il sacco pieno di regali, invece, nacque in America dalla penna di Clement C. Moore, che nel 1822 scrisse una poesia in cui lo descriveva come ormai tutti lo conosciamo. Questo nuovo Santa Claus ebbe successo, e dagli anni Cinquanta conquistò anche l’Europa diventando, in Italia, Babbo Natale.



Una rappresentazione del vescovo San Nicola (Sinter Claes) in una casa 16° secolo, nei pressi della diga di Amsterdam. San Nicola è il santo patrono della capitale olandese. Il mito di babbo Natale nasce dalla leggenda del santo.


Chi era San Nicola? A differenza di Babbo Natale, però, San Nicola è realmente esistito. Nacque a Patara nel 270 e fu vescovo di Myra, in Licia (odierna Turchia). È una figura avvolta nel mistero, ma indizi archeologici dicono che è vissuto realmente: il suo nome compare in alcune delle antiche liste dei partecipanti al primo Concilio di Nicea (325), una riunione di tutti i vescovi della Chiesa cristiana per tentare di chiarire le divergenze teologiche sulla natura di Cristo. 

In mancanza di notizie storiche certe, i biografi ricostruirono comunque la vita di Nicola condendola con dettagli spesso scopiazzati da altre vite di santi. Figlio unico di ricchi genitori, pare che fin da piccolo avesse manifestato i segni della sua santità: il mercoledì e il venerdì, infatti, poppava una sola volta al giorno, per rispettare l’astinenza prescritta dalla Chiesa cristiana. Non gli toccò una morte spettacolare, da martire: pare che si spense in pochi giorni, di vecchiaia, tra il 345 e il 352. E come aveva fatto in vita, anche da morto prese le difese della sua comunità, regalando ai fedeli un olio profumato dai poteri miracolosi che sgorgava dalle sue reliquie, conservate nella cattedrale di Myra fino all’XI secolo (e portate via dai baresi nel 1087).


Fin qui, però, la sua fama rimaneva legata solo alla Licia. La svolta si ebbe tra il VII e l’VIII secolo, quando, di fronte alle coste dove sorgeva il santuario, Bizantini e Arabi combatterono per la supremazia sul mare. Arrivò così il salto di status: Nicola diventò il punto di riferimento dei marinai bizantini e il loro protettore, trasformandosi da santo locale a santo internazionale. Il suo culto si espanse lungo le rotte marittime del Mediterraneo, arrivando a Roma e a Gerusalemme, poi a Costantinopoli, in Russia e nel resto dell’Occidente. Nel IX secolo si diffuse in Germania.


Salvatore di bimbi. Parallelamente si sviluppò una sua biografia definitiva, “arricchita” di nuovi episodi. Uno dei più famosi è la storia delle tre fanciulle, particolarmente diffusa nell’XI-XII secolo: commosso dalla sorte di tre ragazze povere che il padre meditava di far prostituire, per tre notti Nicola gettò loro attraverso la finestra aperta altrettanti sacchi d’oro (poi simboleggiati nell’iconografia con palle d’oro) come dote per farle sposare. Questa storia diede a Nicola la fama di generoso portatore di doni, oltre che patrono delle vergini e garante della fertilità.

E i bambini? Il suo rapporto speciale con loro nasce da una truce storia medioevale degna delle fiabe dei fratelli Grimm: una notte tre ragazzi chiedono ospitalità in una locanda; l’oste e sua moglie li accolgono volentieri perché hanno finito la carne in dispensa, poi li fanno a pezzi con l’accetta e li mettono in salamoia. Finito il massacro, san Nicola bussa alla porta e chiede un piatto di carne. Al rifiuto dell’oste si fa portare in dispensa, dove estrae dalla salamoia i tre giovani, vivi e vegeti. Il racconto circolava prevalentemente nelle scuole ecclesiastiche, dove, il 28 dicembre, si celebrava la Festa degli innocenti. In occasione di questa versione cristianizzata dei Saturnali, la scalmanata festa pagana dell’antica Roma, gli studenti eleggevano il “vescovello”, una specie di dio Saturno romano che presiedeva ai festeggiamenti ed elargiva doni.

Dalla fine del XIII secolo, il 6 dicembre diventò il giorno in cui i “vescovi Nicola” salivano sui loro scranni: la tradizione raggiunse il culmine nel XVI secolo (ma in alcuni luoghi persistette fino al XIX). E anche quando la Chiesa, scandalizzata, iniziò a vietare queste carnevalate pagane, Nicola sopravvisse nelle scuole e nelle case grazie ai bambini, che continuarono a festeggiarlo e a ricevere i suoi regali. 
Devozione italiana. La storia e la devozione per san Nicola è molto diffusa anche in due città italiane: Bari e Venezia. Dopo la caduta di Myra in mano musulmana, nel 1087 i baresi fecero una spedizione in quella città. Le reliquie, cioè le ossa, del santo, erano parte del bottino.

Circa 10 anni dopo anche i veneziani puntarono su Myra e recuperarono altre ossa, lasciate dai baresi nella fretta. I veneziani trasportarono quei resti nell’Abbazia di San Nicolò del Lido, vantando pure loro il possesso delle spoglie del santo. Lo dichiararono protettore della flotta della Serenissima. E gli dedicarono molte opere, come il duomo nel “Giardino della Serenissima” (la città di Sacile, in Friuli, di cui è patrono).
Ma il San Nicola di Bari è lo stesso Nicola di Venezia? Nel 1992, con le analisi del Dna, si è stabilito che i resti appartengono alla stessa persona.
Recentemente in Turchia, alcuni archeologi hanno scoperto una sepoltura che gli studiosi ritengono essere proprio quella di san Nicola. E il mistero, invece di risolversi, sembra addirittura infittirsi.

domenica 12 novembre 2017

La congiura dei Pazzi (Firenze, 1478)





La congiura dei Pazzi – Signore di Firenze era, dal 1469, Lorenzo dei Medici, detto il Magnifico, nipote di Cosimo e figura tra le più rappresentative del Rinascimento italiano, mecenate e protettore delle arti e delle lettere e poeta egli stesso.
Nel 1478 una congiura guidata dalla famiglia Pazzi, rivale dei Medici e appoggiata dal papa Sisto IV della Rovere (1471-84), che voleva estendere il suo potere sulla città, culminò il 26 aprile del 1478, giorno di Pasqua.
La famiglia Pazzi decise di uccidere Lorenzo e Giuliano dei Medici durante la messa nella chiesa di Santa Maria del Fiore. Il  segnale convenuto era l’Elevazione: un gruppo di sgherri sfoderò i pugnali e uccise Giuliano dei Medici, mentre Lorenzo riuscì a salvarsi chiudendosi in sagrestia.
Iacopo Pazzi, il più anziano della famiglia, credendo che il colpo fosse riuscito, corse per le strade cercando di attirare dalla sua parte il popolo al grido di «Libertà, libertà!». Gli operai della lana, invece, lo presero a sassate opponendogli il grido (oggi comico, ma allora serissimo): «Palle, palle!»: i simboli dei Medici.

La vendetta fu atroce non solo per gli assassini ma per tutti i parenti dei Pazzi,  di nome e di fatto. Assassinare la famiglia più potente della città nella tana del lupo significava scavarsi la fossa e così fu.

MYSTERIUM


aboutflorence.com

La storia di Firenze: la congiura de' Pazzi

La congiura de' Pazzi: Giuliano de' MediciA Piero de Medici (il gottoso), figlio di Cosimo, successero (1469) i due figli Giuliano e Lorenzo che diventarono i Signori di Firenze. Il 26 aprile 1478 la famiglia fiorentina dei Pazzi ordì una congiura contro quella dei Medici, allo scopo di ottenere la supremazia politica nella città. I Pazzi erano una ricca famiglia di banchieri della Firenze del Rinascimento

La congiura ebbe l'appoggio del papa Sisto IV, interessato a impadronirsi dei territori fiorentini che gli avevano sempre resistito. Il papa Sisto IV mirava infatti ad abbattere la signoria Medicea e a questo fine sostenne i gruppi antimedicei fiorentini capeggiati dalla famiglia de’ Pazzi, i quali avevano sostituito i Medici nell’ufficio di banchieri della Santa Sede … 

Ma la storia ha radici ancora più antiche: Lorenzo de’ Medici era stato avvertito dal Duca di Milano che c’era una congiura contro di lui già dal 1474. Fu addirittura stipulato un trattato segreto contro Lorenzo tra il nipote del Papa Girolamo Riario, il re di Napoli, Federico da Montefeltro e la famiglia de’ Pazzi. I Medici sapevano della minaccia ed è per questo motivo che i congiurati entrarono in azione in chiesa. Giuliano e Lorenzo dei Medici furono infatti assaliti durante una messa presso la Cattedrale di Firenze. Mentre Giuliano rimase ucciso, Lorenzo riuscì a parare i colpi e si chiuse nella Sagrestia

Nel frattempo l’altro congiurato Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, raggiunse Palazzo Vecchio con un gruppo di altri uomini mentre Jacopo de’ Pazzi cercava di sollevare la popolazione contro i Medici e tentava di conquistare Palazzo Vecchio ma senza esito. Lorenzo si salvò fra il tripudio del popolo fiorentino, sempre più legato alla famiglia dei Medici. 

Grazie soprattutto all'appoggio popolare, l'epilogo della congiura fu doloroso per i Pazzi e per i loro alleati tanto che entro poche ore dall’agguato vennero fatti precipitare i congiurati dalla finestra di Palazzo Vecchio. Francesco de' Pazzi venne impiccato alla terza finestra della Loggia dei Lanzi e anche Francesco Salviati, suo fratello Jacopo e altri preti cospiratori subirono la stessa sorte. 

Piazza della Signoria diventò il teatro di una tetra vendetta. L'episodio finì per consolidare la Signoria medicea che rimaneva al potere come e più di prima. Da questo momento Lorenzo de' Medici diventò "l'ago della bilancia" nella politica italiana in virtù delle sue doti diplomatiche e politiche.


LINK DI APPROFONDIMENTO :

https://it.wikipedia.org/wiki/Congiura_dei_Pazzi

http://cronologia.leonardo.it/storia/aa1469a.htm



 

repubblica.it

Medici, omicidio su commissione la verità sulla congiura dei Pazzi

Risolto dopo 5 secoli uno dei grandi misteri del Rinascimento Dietro i sicari che uccisero Giuliano c'era Federico da Montefeltro Medici, omicidio su commissione
la verità sulla congiura dei Pazzi
 
dal nostro corrispondente ALBERTO FLORES D'ARCAIS
Giuliano de' Medici in un ritratto del Botticelli
NEW YORK - Grazie alla passione e alla certosina pazienza di uno studioso italiano, dopo oltre cinque secoli uno dei "misteri" della nostra storia passata - il complotto contro i fratelli Medici - è stato risolto. Il 26 aprile del 1478, domenica dell'Ascensione, un gruppo di sicari guidati da Francesco de' Pazzi uccise con diciannove pugnalate Giuliano de' Medici, mentre il fratello maggiore Lorenzo (il Magnifico) veniva ferito e riusciva a scampare alla morte rifugiandosi in sacrestia. Oggi, 526 anni dopo i sanguinosi avvenimenti di quella domenica d'aprile - passati alla storia come la Congiura dei Pazzi - Marcello Simonetta, professore di storia e letteratura rinascimentale alla prestigiosa Wesleyan University in Connecticut, è riuscito a ricostruire tutti gli elementi del puzzle, "incastrando" con una prova documentale degna di un grande giallista uno dei protagonisti occulti di quella vicenda. Un potente dell'epoca, un uomo che finora, sia nella cronache contemporanee che nelle ricostruzioni storiografiche successive era riuscito a restarne fuori, a passare indenne da ogni sospetto: Federico da Montefeltro.
La Congiura dei Pazzi viene di solito presentata come un "affare di famiglia", in cui i Pazzi - potente famiglia fiorentina gelosa della potenza e del carisma dei Medici - organizzarono un complotto per eliminare Lorenzo e Giuliano. Dopo aver tentato di colpirli in diverse occasioni, facendo ricorso a "trucchi" e tradimenti, riuscirono a mettere in pratica il loro piano nel modo più sacrilego e spettacolare, agendo durante la messa solenne nella cattedrale di Firenze.


Quello che di solito non si dice, e che sui banchi di scuola non abbiamo imparato, è che dietro questa sanguinaria saga familiare si nasconde una vera e propria congiura internazionale, in cui fanno da sfondo, più o meno occulti, i grandi protagonisti dell'epoca: dal papa Sisto IV (Francesco Della Rovere) al nipote Girolamo Riario, dal re di Napoli Ferrante d'Aragona al duca di Urbino Federico da Montefeltro.
L'enigmatico profilo che del Montefeltro fece Piero della Francesca, e che campeggia in bella mostra in una sala degli Uffizi, nasconde dunque una vicenda esemplare della nostra storia passata, dove intrighi e tradimenti personali e familiari si mescolavano alla religione e alla politica, in cui un papato che aspirava a "conquistare" tutta l'Italia centrale non si tirava indietro, anzi promuoveva, complotti e orrendi delitti.
A Marcello Simonetta il capolavoro di Piero della Francesca non sarebbe stato sufficiente per risolvere il problema. Dalla sua il giovane professore (classe 1968) - uno dei tanti cervelli che il baronale sistema universitario italiano ha indotto, o costretto, a cercare fortuna all'estero - ha avuto anche un pizzico di fortuna, che si é manifestata sotto forma di un trattatello del Quattrocento che insegnava a decifrare i dispacci diplomatici dell'epoca.
L'autore del libretto è infatti Cicco Simonetta, Cancelliere degli Sforza a Milano, e antenato del professor Marcello. Studiando il trattatello Marcello Simonetta ha scoperto la chiave per decriptare una lettera cifrata che aveva trovato nell'archivio privato Ubaldini a Urbino, una lettera inviata dal duca di Urbino ai suoi ambasciatori a Roma due mesi esatti prima che la Congiura dei Pazzi avesse luogo. In quella lettera ci sono le prove del coinvolgimento diretto di Federico da Montefeltro nella storica vicenda.
Decifrare quella lettera per il professore della Wesleyan University è stato tutt'altro che facile e gli ha richiesto parecchio tempo. "Mi sono basato sulla frequenza delle vocali e la combinazione di alcuni gruppi di lettere. Credevo di non venirne mai a capo. Alla fine, dopo circa un mese di lavoro, sono riuscito a penetrare il codice. Mi ha aiutato la ripetizione di una serie di simboli, che corrispondevano a sua santità, il papa Sisto IV".
Il risultato della ricerca è stato pubblicato su "Archivio storico italiano", una delle più importanti riviste in campo storiografico. Da quel documento - spiega il professor Simonetta - l'immagine di Federico da Montefeltro che ne viene fuori è profondamente machiavelliana: "Le sue "opere non furono leonine, ma di volpe", per usare la frase che Dante riferisce a Guido di Montefeltro, un antenato del duca sprofondato nell'Inferno.
E questo ci costringe a riconsiderare una visione del Rinascimento edulcorato, "neoplatonico e armonizzato", frutto di una grandiosa copertura ideologica". Il lavoro dello studioso italiano non finisce però qui.
Nel suo libro "Il Rinascimento segreto: il mondo del Segretario da Petrarca a Machiavelli", appena pubblicato dall'editore Franco Angeli approfondisce i segreti del mondo umanistico e cancelleresco con ulteriori novità documentali e interpretative.

(16 febbraio 2004)


venerdì 27 ottobre 2017

Asociali nei lager nazisti : triangolo nero


Nel blog MYSTERIUM avevo scritto un articolo sul modo in cui, le solite famiglie degli schifosissimi Illuminati, hanno manipolato e stanno manipolando la popolazione mentalmente tranne i media ed altri mezzi. 

Uno dei tanti effetti di questa manipolazione consiste nell'isolare i così detti "asociali", coloro che sono semplicemente introversi ma hanno molte qualità; una di queste consiste appunto nel non farsi manipolare e non seguire il gregge di pecore della maggioranza.

Questo ha costituito un pericolo per tutte le dittature, non escluso il Nazismo. Chi pensava con la propria testa era considerato potenzialmente un pericolo quindi andava fermato.

Come? Internandolo insieme a tutti gli altri gruppi e condannati alla stessa sorte.

Venivano messi gli altri "asociali". Simbolo sulla casacca da prigioniero : triangolo nero.

  

Triangolo nero







Il triangolo nero utilizzato nei lager nazisti
Il triangolo nero era il simbolo di stoffa affibbiato sulla divisa degli internati nei campi di concentramento nazisti, classificati come "asociali".

Utilizzo nei lager nazisti

Il triangolo nero era assegnato nei lager nazisti agli individui classificati come "asociali", cioè a quelli ritenuti una minaccia ai valori ideologici delle famiglie del Terzo Reich. La maggioranza di questi prigionieri erano malati mentali, senzatetto, alcolisti, coloro che erano ritenuti "fannulloni", prostitute. Con il triangolo nero, e una lettera Z, erano classificati anche i Rom e Sinti, ai quali, però, nei lager era talora affibbiato un triangolo marrone. I triangoli neri erano solitamente attribuiti agli appartenenti alle classi inferiori.





icsanmartinoinpensilis.it

Tipologia dei campi nazisti

In base a un’indagine compiuta da G. Schwarz, uno dei maggiori studiosi dell’universo concentrazionario, i gerarchi nazisti istituirono più di 10.000 campi sul suolo del Terzo Reich.
Inizialmente essi erano campi di raccolta per prigionieri civili, ma ben presto diventarono luoghi di sfruttamento del lavoro in condizioni di schiavitù. Erano gestiti dalle SS con una brutale e severissima disciplina militare. Vi furono rinchiusi e schiavizzati ebrei, ma anche sacerdoti, zingari, omossessuali e avversari politici.
Nella seconda metà degli anni trenta furono insediati campi di concentramento in Germania a Dachau, Sachsenhausen, Buchenwald, Flossenburg e Ravensbruk; in Austria quello di Mauthausen. Nel 1939 gli internati erano 25.000, ma poichè il loro numero cresceva di giorno in giorno a causa dei rastrellamenti operati dall'esercito tedesco in Germania e nei Paesi occupati, ben presto vennero costruiti molti altri campi, soprattutto nei Paesi occupati. 

Fino all'inverno 1941-1942 i campi furono luoghi di lavoro coatto, ma quanto Hitler decise di attuare la "soluzione finale" essi divennero luoghi di sterminio dove in poco più di due anni trovarono la morte circa 11 milioni di persone, di cui sei milioni ebrei.

 

Tutti i campi di concentramento e di sterminio erano controllati dalle SS, soldati inizialmente addetti alla sicurezza del Fuhrer e successivamente specializzati in assassini di massa e fucilazioni sommarie.  
Nei Lager tutti i prigionieri, compresi i bambini, venivano privati dei loro abiti e obbligati ad indossare la zebrata, cioè una casacca e un paio di pantaloni per i maschi e un largo camicione per le femmine a strisce grigio-azzurre. Sulla zebrata venivano cuciti un triangolo e un numero di matricola. 

Il triangolo era un contrassegno di stoffa che veniva dato a ciascun deportato insieme al numero al momento dell’immatricolazione. Il colore del triangolo individuava la categoria con la quale l’amministrazione del Lager “catalogava” i deportati: triangolo rosso per i politici, triangolo giallo per gli ebrei, triangolo verde per i criminali comuni, triangolo nero per gli asociali, triangolo rosa per gli omosessuali, triangolo viola per i Testimoni di Geova. 

All’interno del triangolo rosso era stampata la sigla della nazionalità del deportato.
Nel lager di Auschwitz il numero di matricola attribuito a ciascun deportato veniva anche tatuato sull’avambraccio sinistro.






 

domenica 3 settembre 2017

Film e storia : Borg/McEnroe

 






Borg/McEnroe porta sullo schermo la leggendaria rivalità tra due dei migliori tennisti della storia, finiti ai lati opposti dello stesso campo per 14 volte in quattro anni (tra il 1978 e il 1981).
 

La calma glaciale del tennista Björn Borg (Sverrir Gudnason) contro il temperamento impetuoso dell'avversario John McEnroe (Shia Labeouf); i movimenti rigidi e calibrati del giocatore svedese contro il gioco nervoso e dinamico dello statunitense, preda di frequenti attacchi d'ira ai danni degli spettatori e dell'arbitro di turno.

La contrapposizione tra i due atleti non si esaurisce sul campo da tennis: le personalità opposte, gli stili diversi e l'imprevedibilità dei risultati rendono il confronto ancora più serrato e avvincente, proiettando i due campioni tra le stelle del firmamento sportivo. Fino alla finale di Wimbledon del 1980, considerata una delle partite più belle della storia del tennis.  



 
ubitennis.com

Wimbledon 1980, Bjorn Borg contro John McEnroe: scacco al Re


A Wimbledon 1980 si gioca una delle partite che hanno fatto la storia del tennis. Di fronte ci sono Bjorn Borg e John McEnroe. Storia della partita che ha segnato generazioni di tennisti e di quel tie-break infinito
Cinque luglio 1980, Wimbledon. Quelli che c’erano o semplicemente hanno visto non potranno mai dimenticare. Nella terra natale del gioco due campioni dal carattere e dallo stile tennistico opposti disputano cinque set di tennis perfetto, ivi compreso il “tie-break del secolo” nel quarto set. Qualcuno ha detto che i tennisti scrivono poesie sulla sabbia. Bene, quell’incontro fu un poema epico.

Bjorn Borg, classe 1956, svedese, gioca da fondocampo e non sbaglia mai. Sfianca i suoi avversari e quando questi si avventurano a rete vengono trafitti da passanti sulle righe. È il numero uno del mondo, ha già vinto cinque volte il Roland Garros e quattro Wimbledon consecutivi. Impensabile per un regolarista perché giocare a tennis su erba è un altro sport. Con rimbalzi imprevedibili e comunque sempre bassi, bisogna saper giocare a rete e colpire da sotto o di piatto. Il top spin perde gran parte della sua efficacia su un morbido prato. Borg però ha saputo adattarsi e si è costruito nel tempo colpi d’approccio adatti e un decente gioco di rete. Nei trionfi precedenti sull’erba di Londra ha battuto Ilie Nastase, Jimmy Connors (due volte) e il bombardiere Roscoe Tanner. E’ un tennista da leggenda, uno dei più grandi di sempre con un talento fisico-atletico unico. Si racconta che un giorno per gioco venne sfidato sul miglio dal tedesco Harald Scmidt, olimpionico dei 400 hs. Corsero e Borg vinse.

John Patrick McEnroe junior, capelli rossi riccioli, basette e lentiggini, è nato nella base aerea americana di Wiesbaden in Germania, dove il padre prestava servizio di leva, nel 1959.  Attaccante mancino con un tocco di palla da predestinato, il servizio di un fabbro, coordinazione e riflessi felini, John viene allevato al gioco da Tony Palafox, che gli insegna a colpire la palla sempre in fase ascendente (“… colpisco ancora come mi ha insegnato lui” dice Mac). Come Rod Laver, altro grande mancino, adotta la stessa impugnatura per il dritto e il rovescio. Il suo servizio, nato casualmente per ovviare ad un fastidioso mal di schiena, sconcerta i puristi. Partenza di fianco (!) e perno violento sul piede destro per catapultarsi a rete dietro sassate che viaggiano intorno ai 200 km/h. Nel 1977 il diciottenne Mac aveva compiuto un’impresa sportiva restata negli annali, giungendo fino alle semifinali dei Championships direttamente dalle qualificazioni. Solo Jimmy Connors lo fermò a fatica in quattro set combattuti.

Alle 14.00 ora locale, con puntualità inglese degna di Phileas Fogg, lo spettacolo ha inizio. Ed è uno shock: Mc Enroe vince 6-1 il primo set dominando il gioco e l’avversario da par suo. Non sembra vero, ed infatti non lo è. Borg si riprende e vince il secondo e il terzo 7-5, 6-3. Mac ha giocato meglio ma Bjorn è avanti. Alle 16.53, dopo due ore e mezza di battaglia, l’incontro varca le porte della storia. Borg serve sul 5-4 in suo favore al quarto. Lo svedese si porta 40-15, due match point a favore per il quinto titolo consecutivo. Il centrale ribolle, pronto ad onorare Bjorn che a Londra è un re. Ma John McEnroe è un duro irlandese d’America e, semplicemente, rifiuta di perdere. Annulla i match point con due passanti, il primo di rovescio, il secondo di dritto al volo e strappa il servizio a Borg con una risposta di rovescio vincente su una prima al centro. “Come on”. L’urlo di John a pieni polmoni fa tremare il Centre Court.

I due tengono facilmente i successivi turni di battuta e si giunge al tie break. Ventitré minuti, trentaquattro punti giocati tutti d’un fiato, cinque match point per Borg e sette set point per Mac, i due avversari a turno nella polvere alla ricerca estrema del punto decisivo. Il pubblico è incredulo e, da un certo punto in poi, costantemente in piedi ad applaudire colpi da leggenda, giocati sempre con i piedi sul precipizio. In tribuna assistono i clan dei rispettivi campioni. Il padre di John, i due fratelli e la allora fidanzata di John Stacy Margolin siedono nella fila sopra a Mariana Simionescu, futura signora Borg, e a Lennart Bergelin, coach tuttofare dello svedese. Le inquadrature TV penetrano impietosamente i loro sentimenti ma, se Mariana, con l’aiuto di qualche decina di sigarette, e Lennart riescono tutto sommato a mantenere un certo aplomb, lo stesso non si può dire un metro dietro. Papà McEnroe sfiora l’infarto più volte, Stacy si preme il petto come chi non riesce più a respirare, i fratelli sembrano sorridere ma in realtà si tratta di un rictus nervoso.

Nella irreale sequenza di giocate vincenti c’è un momento nel quale il destino si schiera. 11-10 per Borg, match point n° 6 nel set, lo svedese serve da sinistra e McEnroe risponde con un dritto molle e tagliato. Non vuole sbagliare ma il rovescio seguente è ancora più molle e sbatte mezzo dito sotto al nastro. Volontà divina o miracolo della fisica, la pallina bianca (per l’ultima volta) si arrampica sul nastro e atterra imprendibile nel campo di Borg. Il sospiro che si leva del Centrale è lo stesso di Mac che si scrolla la maglietta e la paura di dosso e va a vincere il parziale per 18-16. All’alba del quinto il morale di Mac è alle stelle mentre quello di Borg è in fondo alla fossa delle Marianne. È in questo momento però che lo svedese dimostra perché è il numero uno. Nel breve intervallo del cambio campo riesce a cancellare dalla mente le occasioni mancate e si presenta alla ripresa del gioco più forte di prima. Lo svedese soffre solo nel game iniziale ma da quel momento in poi concede a Mac solo un punto sui suoi turni di battuta. John al contrario si salva da 0/40 sia nel secondo che nell’ottavo game e solo la gran classe e l’istinto lo tengono a galla. A Wimbledon nel quinto set si va avanti ad oltranza e si giunge così al quattordicesimo game, Mac serve sul 7-6 per Borg. Una risposta vincente di dritto e due robusti passanti portano Bjorn sul 15/40. Altri due match point.

Stavolta basta il primo perché lo svedese passa di rovescio incrociato su una volée d’approccio troppo timida di Mac. L’americano si tuffa e inciampa in un estremo tentativo ma ora è proprio finita. Il centrale è in piedi e non smetterà di applaudire per interi minuti mentre Borg cade in ginocchio e subito si rialza per correre a rete. È il canto del cigno dello svedese che abbandonerà di fatto il tennis un anno dopo, a soli 25 anni, passando lo scettro del tennis mondiale all’amico John.
Bjorn Borg b. John McEnroe 1-6 7-5 6-3 6-7(16) 8-6

Raffaello Esposito

sabato 26 agosto 2017

Film e storia : DUNKIRK (il più atteso dell'anno)


Dunkirk è un film drammatico di guerra del 2017 della durata di 107 minuti, diretto da Christopher Nolan, con Tom Hardy, Cillian Murphy, Mark Rylance e Kenneth Branagh, al cinema dal 31 agosto 2017, distribuito da Warner Bros. Pictures Italia. Il film, ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, racconta la drammatica evacuazione verso la Gran Bretagna di centinaia di migliaia di soldati alleati dalla spiaggia di Dunkerque sotto la minaccia dell'esercito tedesco.
 
Dunkirk racconta dunque l'incredibile evacuazione verso la Gran Bretagna di migliaia di soldati belgi, francesi e britannici, bloccati sulle spiagge di Dunkerque dall'avanzata dell'esercito tedesco, durante la cosiddetta Battaglia di Francia. Le truppe britanniche e alleate si trovano circondate da un lato dalle forze nemiche, e dall'altra dal mare, con il Canale della Manica come unica via di fuga possibile. 
 
Le operazioni di imbarco richiedono più tempo del previsto, e vengono ulteriormente rallentate da un violento bombardamento nemico che getta i soldati nel panico e nella disperazione più totali. L'intera cittadina portuale viene coinvolta nei preparativi della spedizione di salvataggio e molti civili si mobilitano per partecipare. Così dopo giorni di attesa, gli uomini vengono tratti in salvo, ma da una flotta improvvisata di imbarcazioni di vario genere, navi da pesca, da diporto e addirittura scialuppe di salvataggio

 

Operazione Dynamo


L'operazione Dynamo (in inglese Operation Dynamo), conosciuta anche come "miracolo di Dunkerque" o "evacuazione di Dunkerque", fu una operazione di evacuazione navale su larga scala delle forze Alleate che ebbe luogo dal 27 maggio al 4 giugno 1940[1], dopo che le truppe inglesi del BEF assieme alle forze franco-belghe erano state tagliate fuori e circondate dalle unità corazzate tedesche giunte sulle coste della Manica a seguito del riuscito sfondamento del fronte sulla Mosa. Si trattò del momento culminante e finale della cosiddetta battaglia di Dunkerque,[2][3] presso il confine tra Francia e Belgio. Dato il completo isolamento via terra di queste truppe (oltre 1 milione di soldati tra inglesi, francesi e belgi), l'unica via di salvezza era la fuga in Inghilterra attraverso il trasporto via mare con unità navali di qualsiasi tipo.

Antefatto

I movimenti durante l'accerchiamento di Dunkerque



Alla fine del maggio 1940, la Wehrmacht nella sua avanzata verso la Manica aveva spinto in una sacca sempre più stretta il Corpo di Spedizione Britannico e dieci divisioni della 1a Armata francese. Agli inglesi non restava altra scelta che reimbarcarsi verso l'Inghilterra, ma dei tre porti a disposizione (Boulogne, Calais, Dunkerque), solo quest'ultimo aveva resistito ai tedeschi, per quanto bombardato giorno e notte dall'artiglieria e dall'aviazione. Fu pertanto giocoforza scegliere Dunkerque per porre in salvo le truppe Alleate, secondo un piano che portò al coinvolgimento di ben 850 imbarcazioni di tutti i tipi, dalle grosse unità militari ai pescherecci e ai piccoli natanti da diporto.

L'operazione fu pianificata dal vice ammiraglio Bertram Home Ramsay e discussa con Winston Churchill nella Dynamo Room (una stanza nel quartier generale della Marina sotto il Castello di Dover al cui interno era collocata una dinamo che forniva l'elettricità), per cui fu dato all'operazione questo nome[4].
In un discorso alla Camera dei Comuni, il Primo ministro inglese Winston Churchill dichiarò che gli eventi in Francia erano stati "un colossale disastro militare"; la base e il cervello di tutte le forze armate inglesi rischiavano di essere eliminate e catturate sulle spiagge di Dunkerque. In questo suo discorso, passato alla storia come "We shall fight on the beaches" (Noi combatteremo sulle spiagge), Churchill salutò l'intera operazione di salvataggio come un "miracolo di liberazione"[5] in cui le forze Alleate rischiarono di essere quasi totalmente eliminate dalle armate naziste.

Le operazioni di evacuazione

Il traghetto dell'
isola di Man
SS
Mona's Queen
affonda dopo aver colpito una mina al largo di Dunkerque il 29 maggio 1940.

Il primo giorno solo 7.010 uomini furono evacuati, ma al nono giorno il totale arrivò a 338.226 soldati (198.229 britannici e 139.997 francesi secondo Taylor)[6], tratti in salvo da una flotta frettolosamente creata di imbarcazioni di vario genere: oltre ai 42 cacciatorpediniere messe a disposizione dalla marina militare inglese, altre imbarcazioni furono messe a disposizione dalla marina mercantile ma anche da comuni cittadini; tra le imbarcazioni usate, centinaia furono navi da pesca, da diporto e addirittura scialuppe di salvataggio. L'imbarcazione più piccola ad essere utilizzata fu un gozzo di 15 piedi (4,6 m), il Tamzine, oggi custodito all'Imperial War Museum

Questo fu definito come il miracle of the little ships ("miracolo delle piccole barche") che oggi resta ancora ben impresso nella memoria storica della Gran Bretagna.[7][8] Per altri, le stime sui soldati francesi sono relativamente diverse, e non possono comunque essere accurate in quanto le registrazioni delle unità francesi vennero distrutte sul suolo francese; i valori, comprensivi dei soldati belgi evacuati, sono oscillanti tra i 123.095 dichiarati dall'Ammiragliato britannico[9], i 102.560 del War Office[10], i 111,172 dello storico Bell[11], i 112.107 del Direttorato del casermaggio britannico[12]. Di questi, alla fine, solo 2.000 rimarranno sul suolo britannico perché in cura per le ferite riportate o per altre ragioni.

Foto aerea della spiaggia con le truppe e le navi sotto le bombe, in un film di Frank Capra del 1943, Divide and Conquer (Why We Fight #3), realizzato anche con materiale di archivio o catturato al nemico.

A causa della censura in tempo di guerra, nel tentativo di tenere alto il morale della nazione, il "disastro di Dunkerque" non fu pubblicizzato né trattato dalla stampa anglo-francese, anche se nelle nazioni coinvolte ci fu una grossa partecipazione popolare negli avvenimenti che videro impegnati i tre eserciti Alleati.[13] I piani iniziali prevedevano il salvataggio di 45.000 uomini della British Expeditionary Force entro due giorni, quando ci si aspettava che le truppe tedesche sarebbero state in grado di bloccare i piani inglesi. In questi due giorni però gli inglesi riuscirono a mettere in salvataggio solamente 25.001 uomini.[14]
Il 29 maggio le operazioni di imbarco furono paralizzate per molte ore da un violento bombardamento, durante il quale i soldati, presi dal panico, si gettarono a nuoto per raggiungere le imbarcazioni e molti di essi annegarono. L'ammiraglio Ramsey fu costretto a vietare gli imbarchi nelle ore diurne e il ministero inglese della Guerra, temendo di non poter mantenere attive le proprie rotte vitali di comunicazione, ordinò di sottrarre all'operazione Dynamo gli incrociatori più moderni. La drammatica richiesta d'aiuto di Ramsey fu però cruciale, e nel pomeriggio del 30 maggio arrivarono sei moderni cacciatorpediniere a prestare il proprio aiuto.

Nelle operazioni iniziali di soccorso vennero impiegati in tutto dieci cacciatorpediniere e un massiccio intervento della RAF[15] che al 29 maggio consentirono il soccorso di 47.310 soldati britannici[16], nonostante un primo pesante attacco aereo da parte della Luftwaffe nella serata del 29, tra l'altro ben contenuto dalla RAF[1]. Il giorno successivo vennero tratti in salvo altri 54 000 uomini[17] tra cui i primi soldati francesi[18].
Il 30 maggio continuò senza sosta l'evacuazione delle truppe Alleate, mentre l'artiglieria inglese con le ultime munizioni rimaste cercava di tenere a bada le truppe tedesche in avanzata. Durante questa giornata di operazioni, la Luftwaffe affondò ben tre cacciatorpediniere e ne danneggiò sei, senza contare i numerosi pescherecci e i mercantili colati a picco.[1] Entro il 30 maggio 126.000 uomini erano stati evacuati e, ad eccezione di piccoli contingenti rimasti isolati durante la ritirata, tutto il resto del BEF aveva già raggiunto la testa di ponte di Dunkerque. La difesa di questa testa di ponte, contro l'avanzata a tenaglia del nemico da terra, diventò quindi più vigorosa e risoluta. I tedeschi si erano lasciati sfuggire la grande occasione di poter immobilizzare con un rapido e deciso intervento le forze Alleate sulla costa[19].
Il 31 maggio riuscirono ad imbarcarsi 68.104 uomini mentre i comandi inglesi decisero di non utilizzare più le navi da guerra per le operazioni a Dunkerque, dato che non potevano più permettersi il lusso di perdere altre unità. Lo stesso giorno il comandante della BEF, Lord Gort, venne richiamato in patria e lasciò il comando delle truppe ancora in suolo francese al maggior generale Harold Alexander e con Sir Alan Francis Brooke si imbarcò verso Dover.[1]



Una ricognizione aerea effettuata dalla RAF durante
Dynamo
; l'aereo è un
Lockheed Hudson
del No. 220 Squadron.


I francesi non vennero messi al corrente dell'intenzione britannica di evacuare la totalità del BEF e l'ammiraglio Nord e il generale Blanchard ritenevano di poter contare ancora su truppe inglesi per un ultimo sforzo nel mantenere la città e la regione del Lys[20]; Alexander stesso, che aveva come priorità gli interessi britannici di salvare le truppe, si imbarcò il 1º giugno, e in quel momento secondo vari storici, le relazioni anglo-francesi toccarono il loro punto più basso dall'inizio della guerra[21]. Tra gli inglesi, le opinioni sul da farsi erano contrastanti, dallo spirito di Churchill che voleva equamente reimbarcati inglesi e francesi al pensiero di Gort per cui "ogni soldato francese salvato era un soldato britannico sacrificato"[22]. Per i francesi venne data deliberatamente priorità al reimbarco di ogni soldato britannico[23] mentre vennero anche citati accordi tra i due ammiragliati che prevedevano come ogni flotta reimbarcasse le proprie truppe, cosa impossibile da attuare per la flotta francese sbilanciata nel Mediterraneo e in Africa, con pochissime navi in Atlantico[24]. Per alcuni gli inglesi respinsero addirittura i francesi che tentavano di imbarcarsi puntando loro contro le armi[25], ma anche casi in cui i francesi rifiutarono con varie motivazioni di imbarcarsi[26]. In ogni caso, dopo un colloquio tra Reynaud e Churchill in cui si minacciava un decadimento delle relazioni tra i due paesi, dopo il 30 maggio le truppe vennero evacuate in numero eguale tra i due eserciti[27].

Una volta trasportati oltre la Manica, i soldati venivano smistati con un efficiente servizio ferroviario organizzato dalla sezione Movement Control del War Office; caricati nei porti del sud dell'Inghilterra, venivano scaricati alle stazioni di Aldershot, Salisbury e Reading, organizzati e smistati nei campi di accoglienza di Aldershot, Tidworth, Dorchester, Blandford, Oxford e Tetbury. Minuziose istruzioni di instradamento dirigevano i treni da Ramsgate e Margate via Reading, quelli da Hastings, Eastbourne, Newhaven, Brighton o Southampton venivano inviati a Salisbury via Chichester, e da Dover e Folkestone via Redhill, per essere ripartiti tra i campi di Aldershot, Salisbury o Reading, mentre ogni sbandato che fosse arrivato a Londra sarebbe stato inviato ad Aldershot; nessun treno doveva però arrivare a Londra, già soggetta ad ordini di evacuazione per i rischi di bombardamento[28].

Nonostante in quel periodo i rapporti tra inglesi e francesi non fossero i migliori, in quanto gli inglesi accusavano i francesi di scarsa combattività e i francesi – considerando l'evacuazione una fuga – accusavano gli inglesi di una sorta di tradimento, la popolazione britannica accolse i soldati francesi con cibo, vestiario, e calore umano. Tanto che molti soldati descrissero positivamente l'esperienza: il reduce Léon Deslandes, della 21e D.I (divisione di fanteria), lo definisce « le Paradis après l'Enfer » (il paradiso dopo l'inferno)[29]. Altra descrizione raccolta nell'ambito di una indagine del 2005 alla domanda "Quel accueil avez-vous reçu ?" il reduce Auguste Lorit rispose "Accueil chaleureux. Ravitaillé dans le train aux gares. Ravitaillement normal." (Accoglienza calorosa. Riforniti in treno nella stazione. Rifornimento normale)[29].

Il programma era di tenere insieme le unità e comunque rinviare le truppe in Francia con una cadenza di 15.000 soldati al giorno[30], tanto che venne chiesto all'addetto militare francese di organizzare il servizio di mensa in patria in tal senso[31]. Il trasporto doveva essere fatto da navi inglesi, francesi ed olandesi, tanto che era previsto un viaggio il 1º giugno con 3.000 soldati su tre navi inglesi ed altrettanti su tre navi olandesi, e nei giorni successivi, 5.000 soldati francesi al giorno trasportati in Francia e altrettanti britannici reimbarcati per il viaggio di ritorno[32]. Tutta l'operazione venne organizzata per telefono, senza tracce scritte, in parte per l'urgenza, ma in prevalenza per ragioni di sicurezza[33].

Dal 1° al 4 giugno

Un cannone navale inglese a copertura delle operazioni di evacuazione


L'artiglieria tedesca sottopose il litorale di Dunkerque ad un intenso cannoneggiamento, mentre la Luftwaffe lanciò l'attacco più violento dall'inizio dell'operazione. In poche ore vennero affondati un cacciatorpediniere francese e tre caccia inglesi, assieme a due navi traghetto, un dragamine e una cannoniera.[1] La linea di difesa inglese venne sfondata a Bergues, a pochi chilometri da Dunkerque, il che rese necessario un ulteriore ripiegamento delle retroguardie verso la costa. Verso sera l'ammiraglio ordinò la fine per la giornata delle operazioni di imbarco, ma nonostante tutto ciò ben 64.229 uomini furono tratti in salvo prima della sospensione delle operazioni.[1]

Nella notte del 2 giugno il comandante Tennant trasmise da Dunkerque il messaggio: «Il corpo di spedizione è stato evacuato», ebbe quindi fine l'operazione Dynamo mentre gli ultimi 4000 uomini inglesi lasciarono il suolo di Francia.[34] Tennant, che più tardi avrebbe comandato l'incrociatore da battaglia HMS Repulse fino al suo affondamento e durante lo sbarco in Normandia comandò uno dei porti artificiali Mulberry, era arrivato il 26 maggio sul cacciatorpediniere HMS Wolfhound per svolgere il ruolo di beachmaster, cioè coordinatore dell'imbarco, e per il modo in cui svolse il suo compito venne soprannominato dai suoi equipaggi Dunkirk Joe[35].

Il giorno seguente le truppe tedesche effettuarono l'ultimo sforzo decisivo contro il perimetro di Dunkerque, dove la retroguardia francese fu costretta a ripiegare su una linea che distava poco più di tre miglia (quasi 5 km) dalla base del molo est. L'ultima imbarcazione, il cacciatorpediniere Shikari, salpò alle 3.40 del mattino del 3 giugno con un migliaio di soldati francesi a bordo[1], un'ora prima del sorgere del sole, mentre i tedeschi stavano ormai per irrompere sulla spiaggia di Dunkerque, con anche 383 soldati francesi a bordo[36]. Immediatamente, due navi di blocco vennero affondate nel canale di accesso al porto[37].

In conclusione, dal 27 maggio alle prime ore del 4 giugno lasciarono la Francia 338.226 uomini, di cui circa 120.000 francesi. Nelle operazioni guidate dall'ammiraglio Ramsey, vennero mobilitate tutte le imbarcazioni disponibili, compresi i panfili privati grandi o piccoli: così contro i soli 7669 uomini imbarcati il primo giorno dell'operazione, il 28 vennero posti in salvo 17.804 soldati della BEF, il 29 ben 47.310, mentre tra il 30 e il 31 maggio addirittura 120.927, ben 64.229 nella sola giornata del 1º giugno, ed altri 54 000 fino alla notte tra il 3 e il 4 giugno. Durante le operazioni la RAF riuscì a contrastare efficacemente la Luftwaffe nei suoi attacchi alle spiagge, e nel complesso l'effetto delle bombe di aereo sganciate venne spesso molto attutito dalla sabbia.

Resoconto

Un ponte di scialuppe consente ai soldati inglesi di essere tratti in salvo
 
 
Data Truppe evacuate dalla spiaggia Truppe evacuate dal porto Totale
27 maggio - 7,669 7,669
28 maggio 5,930 11,874 17,804
29 maggio 13,752 33,558 47,310
30 maggio 29,512 24,311 53,823
31 maggio 22,942 45,072 68,014
1º giugno 17,348 47,081 64,429
2 giugno 6,695 19,561 26,256
3 giugno 1,870 24,876 26,746
4 giugno 622 25,553 26,175
Totale 98,780 239,446 338,226

Il reimbarco delle truppe francesi

Come previsto, molti dei francesi recuperati vennero rimandati in Francia dopo un paio di giorni. Le navi francesi Ville d'Alger, Ville d'Oran, El Djézaïr, El Mansoir ed El Kantara, reimbarcarono il 2 giugno alcune migliaia di soldati da Plymouth a Brest[38], seguite nella notte tra il 2 e il 3 dalla Général Metzinger. Varie navi inglesi fecero la spola tra Southampton e Cherbourg fino al 7 giugno, e in nessun momento la Kriegsmarine tentò di disturbare le operazioni, anche per il completo controllo del Canale della Manica da parte della Royal Navy.

I soldati vennero condotti nelle zone di Caen, Thury-Harcourt, Rennes, Lisieux e la regione di Parigi. Venne fatto anche un tentativo di ricostituire alcune unità francesi direttamente a Dunkerque, ed il generale Weygand insistette il 6 giugno per ricostituire le truppe in divisioni organiche il più presto possibile[39]. In complesso, qualcuno ha stimato che meno della metà dei soldati salvati furono rimessi in grado di riprendere le armi contro i tedeschi[40]

In quei giorni il comando francese stava valutando l'idea di costituire un "ridotto bretone" dove proteggere il governo fino a quando non avesse potuto trasferirsi in Africa per continuare a combattere, idea poi giudicata impraticabile[41]. Di fatto, il reimbarco evitò ai soldati francesi la cattura solo per poche settimane, e molti di loro vennero deportati in Germania dopo l'armistizio.

Perdite

Il cacciatorpediniere francese
Bourrasque
affonda carico di truppe dopo essere stato colpito il 30 maggio 1940


A disposizione del nemico rimase un bottino di proporzioni incredibili; gli inglesi avevano abbandonato sul suolo francese circa 2000 cannoni, 60.000 automezzi, 76.000 tonnellate di munizioni, 600.000 tonnellate di carburante e di rifornimenti di ogni genere[1]. L'Inghilterra rimase praticamente disarmata sul suolo metropolitano inglese: al termine delle operazioni erano disponibili solamente circa 500 pezzi d'artiglieria, compresi quelli prelevati dai musei.[1][42]. Complessivamente nel disperato tentativo di salvataggio andarono perse circa 200 imbarcazioni di tutte le dimensioni, tra cui sei cacciatorpediniere britannici e tre francesi. La RAF tra il 26 maggio e 4 giugno svolse un totale di oltre 4.822 missioni su Dunkerque perdendo 177 aerei, di cui 100 in combattimento[43] e gli altri per vari motivi, il 40% dei quali bombardieri. La Luftwaffe in compenso perse circa 140 aerei.
Le significative perdite di materiali abbandonati a Dunkerque rafforzarono la dipendenza finanziaria del governo inglese nei confronti degli Stati Uniti, che si concretizzerà nella Legge affitti e prestiti.

Navi militari affondate

La Royal Navy nelle operazioni di evacuazione perse un numero significativo di navi, tra cui:
La Marina Nazionale francese perse:

Un'occasione persa

Le convulse fasi delle operazioni di evacuazione


   « [...] è indubbio che il BEF non avrebbe potuto essere salvato se dodici giorni prima, il 24 maggio, Hitler non fosse intervenuto a bloccare alle porte di Dunkerque le forze corazzate di Kleist[14] »
Queste le parole di Basil Liddell Hart che sintetizza la grande occasione che le forze tedesche ebbero per catturare o uccidere oltre 300.000 soldati dell'esercito anglo-francese a Dunkerque.
Al 24 maggio c'era solo un battaglione inglese a copertura del tratto di 20 km del fiume Aa compreso tra Gravelines e Saint Omer, e per altri 100 km nell'entroterra la linea del canale non era molto meglio presidiata. Pochi ponti erano stati demoliti, e in molti casi non erano stati attuati neppure i preparativi per la demolizione degli altri. Infatti il 23 maggio le truppe corazzate tedesche non avevano trovato difficoltà nel gettare teste di ponte al di là del canale, che come disse Lord Gort, "rappresentava l'unico ostacolo anticarro su questo fianco"[14].

Prosegue sempre Hart; "Una volta attraversato il canale, nulla avrebbe potuto impedire alle avanguardie corazzate tedesche di proseguire la loro avanzata e di tagliare le linee di ritirata del BEF verso Dunkerque, nulla eccetto un ordine di Hitler"[44]. Fu proprio quel che accadde il 17 maggio quando il generale Heinz Guderian mentre era ormai lanciato verso il mare fu improvvisamente fermato. Hitler era preoccupato della tenuta del fianco meridionale, e solo quando gli fu assicurato che unità di fanteria si stavano disponendo per coprire il fianco in questione predispose che le forze corazzate riprendessero la loro avanzata. Il 20 maggio le unità di Guderian raggiunsero la costa bloccando le linee di comunicazione Alleate con il Belgio.

Proprio il 24 maggio il Führer si recò al quartier generale di Gerd von Rundstedt in un momento cruciale. Hitler, preoccupato dalle forze inglesi dispiegate nella zona di Arras e da un possibile attacco francese a sud, parlò di questo a von Rundstedt già di per sé uno stratega prudente, che gli esplicò la possibilità nei giorni successivi di dover fronteggiare attacchi provenienti da nord e soprattutto da sud[14]. Von Rundstedt aveva già in mente di affidare a Fedor von Bock il completamento dell'operazione con l'accerchiamento a nord, pensando già a futuri sviluppi a sud, quindi nei suoi piani non c'era la volontà di fermare le divisioni corazzate. Ma Hitler trovò nel colloquio con von Rundstedt una definitiva giustificazione alla sua volontà di fermare i panzer, secondo lui troppo importanti per essere utilizzati in una campagna pericolosa quale quella nelle Fiandre in vista dell'imminente attacco nella seconda fase dell'offensiva in Francia[45].
Un'altra giustificazione alla decisione di Hitler è poi riconducibile al Reichsmarschall Hermann Göring che suggerì al Führer che "Dunkerque deve essere lasciata alla Luftwaffe"; alla forza aerea fu quindi ordinato di continuare l'attacco a Dunkerque, nella convinzione che sarebbe bastato l'intervento in massa degli aerei tedeschi per impedire l'evacuazione via mare delle truppe Alleate.

In generale la controversa decisione di Hitler potrebbe essere stata influenzata da diversi fattori sia militari che politici, di cui tre abbastanza evidenti: il desiderio di mantenere in buone condizioni le sue forze corazzate, il timore che suscitava l'idea di avventurarsi nella paludosa regione delle Fiandre e le richieste di Göring che voleva per la Luftwaffe un ruolo principale, che evidentemente non fu in grado di sopportare[14]. La decisione del Führer fu probabilmente influenzata anche dalla sua volontà di cercare dopo la campagna di Francia una pace con l'Impero britannico, che lo stesso dittatore ammirava da tempo, come esposto nel Mein Kampf: lasciare una specie di "via libera" al salvataggio dell'esercito inglese avrebbe aiutato una riconciliazione futura, che sarebbe stata preclusa se a Dunkerque le forze tedesche avessero distrutto l'esercito inglese[14].

Conseguenze

Quello che poteva essere un disastro, divenne un'operazione di successo per le forze anglo-francesi, Winston Churchill in un discorso alla Camera dei Comuni esortò la popolazione nello spirito di Dunkerque ("Dunkirk spirit"), ma dichiarando anche di non trionfare, perché "le guerre non si vincono con le evacuazioni" ("Wars are not won by evacuations"). Tuttavia, le esortazioni allo "spirito Dunkerque" segnarono profondamente il popolo inglese, tanto che ancora oggi il termine è usato per descrivere gli atteggiamenti utili per superare i momenti di avversità.[46]

Il salvataggio delle truppe inglesi a Dunkerque fornì una notevole spinta psicologica al morale dell'esercito britannico, in un momento in cui il gabinetto di guerra inglese aveva discusso in segreto la resa alle armate di Hitler,[47] il paese festeggiava l'operazione quasi come una grande vittoria. Nonostante l'esercito di Sua Maestà perdesse in quei giorni di fine maggio quasi la totalità del suo equipaggiamento, i soldati poterono essere dispiegati in vista di una probabile offensiva tedesca nel territorio inglese.
Ma l'operazione Dynamo non rappresentò per oltre 100.000 soldati francesi la salvezza; la maggior parte di loro fu destinata ai porti del sud dell'Inghilterra o a campi militari come Tidworth nei pressi, dove vennero rifocillati, ripuliti (spesso dalla popolazione piuttosto che dalle strutture) e reinquadrati per essere immediatamente rimpatriati[48] nei porti francesi di Brest, Cherbourg e in altri porti della Normandia e della Bretagna, per continuare la lotta contro i tedeschi, in quanto al momento esisteva ancora la possibilità di continuare a combattere e la Francia sembrava lontana dal crollo definitivo.

Anche se soltanto la metà delle truppe rimpatriate furono schierate contro i tedeschi durante la campagna di Francia, molti di loro divennero prigionieri in una guerra che le forze francesi non erano in grado di contrastare. Le marce forzate verso i campi di prigionia in Germania furono delle vere e proprie torture per le truppe anglo-francesi rimaste a terra o rimpatriate poi. Molti prigionieri riferirono del trattamento brutale da parte delle guardie tedesche[49]. Molti dei prigionieri furono condotti nella città di Treviri, dopo una marcia di quasi 20 giorni, altri marciarono verso il fiume Schelda per poi essere destinati nella Ruhr, e quindi inviati in treno verso i campi di prigionia in Germania.[50] La maggior parte dei prigionieri, tutti quelli al di sotto del grado di caporale, lavorarono per quasi cinque anni per l'industria e l'agricoltura tedesca.[51]
Durante il prosieguo delle operazioni, altre forze britanniche e dei Dominions vennero schierate in Francia, sotto il comando di Alan Brooke e note come Secondo BEF; queste forze vennero poi evacuate dal 14 giugno con la operazione Ariel.