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venerdì 27 ottobre 2017

Asociali nei lager nazisti : triangolo nero


Nel blog MYSTERIUM avevo scritto un articolo sul modo in cui, le solite famiglie degli schifosissimi Illuminati, hanno manipolato e stanno manipolando la popolazione mentalmente tranne i media ed altri mezzi. 

Uno dei tanti effetti di questa manipolazione consiste nell'isolare i così detti "asociali", coloro che sono semplicemente introversi ma hanno molte qualità; una di queste consiste appunto nel non farsi manipolare e non seguire il gregge di pecore della maggioranza.

Questo ha costituito un pericolo per tutte le dittature, non escluso il Nazismo. Chi pensava con la propria testa era considerato potenzialmente un pericolo quindi andava fermato.

Come? Internandolo insieme a tutti gli altri gruppi e condannati alla stessa sorte.

Venivano messi gli altri "asociali". Simbolo sulla casacca da prigioniero : triangolo nero.

  

Triangolo nero







Il triangolo nero utilizzato nei lager nazisti
Il triangolo nero era il simbolo di stoffa affibbiato sulla divisa degli internati nei campi di concentramento nazisti, classificati come "asociali".

Utilizzo nei lager nazisti

Il triangolo nero era assegnato nei lager nazisti agli individui classificati come "asociali", cioè a quelli ritenuti una minaccia ai valori ideologici delle famiglie del Terzo Reich. La maggioranza di questi prigionieri erano malati mentali, senzatetto, alcolisti, coloro che erano ritenuti "fannulloni", prostitute. Con il triangolo nero, e una lettera Z, erano classificati anche i Rom e Sinti, ai quali, però, nei lager era talora affibbiato un triangolo marrone. I triangoli neri erano solitamente attribuiti agli appartenenti alle classi inferiori.





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Tipologia dei campi nazisti

In base a un’indagine compiuta da G. Schwarz, uno dei maggiori studiosi dell’universo concentrazionario, i gerarchi nazisti istituirono più di 10.000 campi sul suolo del Terzo Reich.
Inizialmente essi erano campi di raccolta per prigionieri civili, ma ben presto diventarono luoghi di sfruttamento del lavoro in condizioni di schiavitù. Erano gestiti dalle SS con una brutale e severissima disciplina militare. Vi furono rinchiusi e schiavizzati ebrei, ma anche sacerdoti, zingari, omossessuali e avversari politici.
Nella seconda metà degli anni trenta furono insediati campi di concentramento in Germania a Dachau, Sachsenhausen, Buchenwald, Flossenburg e Ravensbruk; in Austria quello di Mauthausen. Nel 1939 gli internati erano 25.000, ma poichè il loro numero cresceva di giorno in giorno a causa dei rastrellamenti operati dall'esercito tedesco in Germania e nei Paesi occupati, ben presto vennero costruiti molti altri campi, soprattutto nei Paesi occupati. 

Fino all'inverno 1941-1942 i campi furono luoghi di lavoro coatto, ma quanto Hitler decise di attuare la "soluzione finale" essi divennero luoghi di sterminio dove in poco più di due anni trovarono la morte circa 11 milioni di persone, di cui sei milioni ebrei.

 

Tutti i campi di concentramento e di sterminio erano controllati dalle SS, soldati inizialmente addetti alla sicurezza del Fuhrer e successivamente specializzati in assassini di massa e fucilazioni sommarie.  
Nei Lager tutti i prigionieri, compresi i bambini, venivano privati dei loro abiti e obbligati ad indossare la zebrata, cioè una casacca e un paio di pantaloni per i maschi e un largo camicione per le femmine a strisce grigio-azzurre. Sulla zebrata venivano cuciti un triangolo e un numero di matricola. 

Il triangolo era un contrassegno di stoffa che veniva dato a ciascun deportato insieme al numero al momento dell’immatricolazione. Il colore del triangolo individuava la categoria con la quale l’amministrazione del Lager “catalogava” i deportati: triangolo rosso per i politici, triangolo giallo per gli ebrei, triangolo verde per i criminali comuni, triangolo nero per gli asociali, triangolo rosa per gli omosessuali, triangolo viola per i Testimoni di Geova. 

All’interno del triangolo rosso era stampata la sigla della nazionalità del deportato.
Nel lager di Auschwitz il numero di matricola attribuito a ciascun deportato veniva anche tatuato sull’avambraccio sinistro.