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sabato 28 aprile 2018

Vanni Fucci, il criminale condannato all'Inferno da Dante Alighieri


it.wikipedia.org

Vanni Fucci




Vanni Fucci detto "Bestia" (Pistoia, ... – post 1295 ma ante 1300) è un personaggio storico del XIII secolo, originario di Pistoia. La sua fama è legata soprattutto all'esser stato citato da Dante Alighieri nei Canti XXIV e XXV dell'Inferno.

Personaggio storico

Figlio illegittimo del nobiluomo Fuccio de' Lazzari, viene in genere indicato come un uomo dall'indole violenta e incline alla rissa. Quale guelfo nero prese parte alle lotte interne in città a partire dal 1288, distinguendosi per le razzie che perpetrava a danno delle famiglie avversarie.

Nel 1289 partecipò alla guerra contro Pisa nella presa della Rocca di Caprona tra le file dei fiorentini e probabilmente fu in quell'occasione che Dante Alighieri ebbe modo di conoscerlo, restandone particolarmente colpito in senso negativo per le futili atrocità delle quali si rese protagonista.

Nel 1293 durante una notte del carnevale, entrò in Duomo con una banda di farabutti e depredò la Cappella di San Jacopo di oggetti preziosi: tavole d'argento, reliquie e arredi. Su questo episodio, citato da Dante, la documentazione è piuttosto carente e talvolta discordante. Pare che in un primo momento venisse incolpato del furto sacrilego il figlio di un suo amico, forse tale Rampino Foresi (o Vergellesi), il quale era già stato condannato alla forca quando venne arrestato un complice del Fucci (forse il notaio Vanni della Monna) che svelò, prima di essere impiccato, il suo coinvolgimento. Nel frattempo Vanni Fucci era riparato nel contado e si era dato alla briganteria, terrorizzando la campagna pistoiese dalla rocca di Montecatini Alto.

Nel febbraio 1295 fu condannato in contumacia dal comune di Pistoia quale omicida e predone, ma ciò non gli impedì di essere di nuovo in città nell'agosto per compiere nuovi saccheggi contro guelfi bianchi. Non si hanno più notizie di lui e, stando al passo dantesco egli doveva essere già morto nel 1300, ma non si sa se per cause naturali o violente.

Personaggio letterario

Molti critici sono concordi nell'indicare Vanni Fucci come il personaggio più fosco e negativo di tutto l'Inferno dantesco. Il poeta lo incontra nella bolgia dei ladri, quale dannato che viene morso dai serpenti che emergono dalla fossa e ogni volta viene incenerito per ricomporsi immediatamente, come una fenice. La sua descrizione è caratterizzata da un fortissimo rilievo drammatico. Ai due poeti pellegrini si presenta così:
« "Io piovvi di Toscana,
poco tempo è, in questa gola fiera.

Vita bestial mi piacque e non umana,

sì come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci
bestia, e Pistoia mi fu degna tana". »
(Inf. XXIV, 122-126)
In queste poche parole dice che è morto da poco e inizia, con compiacimento e senza una minima traccia di rammarico, a raccontare la sua vita scellerata, usando la parola "bestia" e immagine ad essa correlate ben 5 volte in tre versi (bestia, bestial, non umana, mul, tana). Si pensa infatti che Bestia fosse il suo soprannome. 

Dante cita anche la matta bestialità quale uno dei tre pilastri del peccato, che viene in genere indicata con la violenza.
Ma nel sistema delle pene e dei peccati di Dante, ripreso dall'Etica Nicomachea di Aristotele, essi hanno un preciso ordine gerarchico di gravità e la violenza verso il prossimo, per quanto futile e efferata, è meno grave dei peccati di malizia, ovvero la frode, dove l'intelletto umano, il più grande dono divino, viene usato a fin di male, per recare danno altrui. 

Vanni sa che si è vantato di peccati tutto sommato minori tacendo su quello più vergognoso del furto: dopotutto a seguito delle sue condanne quale omicida e predone violento erano tristemente famose in tutta la Toscana. Ma Dante dopo aver ascoltato, magari con disgusto, il suo racconto rincalza Virgilio affinché Vanni non mucci, cioè non svii, perché quello che ha detto non è la colpa che lo ha condannato a questa bolgia, ben più infamante di quella dei violenti.

Allora il dannato, con un grandioso realismo psicologico, si volta direttamente verso Dante, saltando il tramite di Virgilio, e lo fissa alzando gli occhi e l'animo, mentre sul suo viso si dipinge la vergogna. Dice infatti che è stato colpito nel punto che più gli duole, cioè il farsi trovare in questa miseria presente, fatto ben più doloroso del morire stesso.

A questo punto Vanni deve confessare, per la domanda fattagli da un protetto della Divina Provvidenza, e la sua ammissione è completa e degradante: Io fui / ladro (la colpa viene citata senza mezzi termini, nella maniera più diretta e incolpante), aggravato dal sacrilegio del furto degli arredi della sacrestia, per i quali fu erratamente accusato un altro. Nella sua disperazione rabbiosa Vanni si doveva forse essere pentito della tanta spavalda confessione precedente, dove si era presentato con il suo nome intero. Lo scontro personale Vanni-Dante è sottolineato dall'insistenza del "tu" che il pistoiese rivolge a Dante, sullo sfondo anche dello scontro a livello politico, essendo i due appartenenti a due fazioni opposte (guelfi neri per Vanni, bianchi per Dante).

Ma dopo l'umiliazione dell'ignobile confessione egli desidera a sua volta ferire Dante, perché di tal vista egli non possa godere, dicendogli con meschina solennità: "Apri li orecchi al mio annunzio, e odi". Segue la profezia, non senza riferimenti oscuri e complessi, della sconfitta dei guelfi bianchi dove "ogne Bianco ne sarà feruto"; famosa è la chiusura del canto: "E detto l ho perché doler ti debbia!".

Nel canto successivo Vanni Fucci rincara la dose strafacendo: con le due mani rivolte al cielo nel gesto delle fiche dice: "Togli, Dio, ch'a te le squadro!" ("Tié, Dio, queste sono per te!"), prima che due serpenti lo leghino mani e gola e lo facciano rotolare a terra, come punizione per la sua bestemmia e per la sua superbia. Dante ne rimane così disgustato da mettere nero su bianco una cruda invettiva contro Pistoia, città degna, secondo lui, di tali cittadini. 

Vedere anche il seguente link:
http://www.vivipistoia.it/conoscere/vanni-fucci/

mercoledì 25 aprile 2018

LA RESISTENZA (sintesi generale)

Un paesano partito per El Alamein






Tra i tanti racconti di guerra, ho ascoltato anche quello riguardante un paesano chiamato alle armi a combattere a El Alamein, nostra grande disfatta. Fu fatto prigioniero dagli inglesi e tornò in patria dopo diversi anni. Nei racconti veniva denunciato come i tedeschi, seppur alleati ma forti dei loro armamenti, trattavano i soldati italiani come servi e se si facevano vedere il meno possibile era meglio.

Nel video tratto dal film LA LINEA DEL FUOCO un volontario cessa gli studi all'università per mostrare il suo coraggio e servire la patria scegliendo proprio El Alamein. Pessima decisione.


LINK DEL VIDEO :  
https://www.youtube.com/watch?v=3ISXJ9oozk4


La Resistenza in Italia

Partigiani...

Buon 25 Aprile

Oggi, 25 aprile, è un giorno fondamentale per la storia d’Italia: ricorre l’anniversario anniversario della Liberazione d’Italia (anche detto Festa della Liberazione e Anniversario della Resistenza). La data di oggi assume un particolare significato politico e militare, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall’8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione nazista. 

Fonte : Carmela Bruno Mancuso

Adelmo Santini, il partigiano eroe ragazzino che non parlò


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Adelmo Santini


Adelmo Santini (Agliana, 26 ottobre 1927Serravalle Pistoiese, 25 agosto 1944) è stato un partigiano italiano

Partigiano, membro della formazione "Fantacci" (con il soprannome Biondino[1]), viene fucilato dai nazifascisti il 25 agosto 1944 a soli 16 anni e quasi 10 mesi in località Villa di Groppoli, nelle vicinanze di Serravalle, in provincia di Pistoia.

Biografia

Nel giugno del 1944, la risalita del fronte di guerra verso la Toscana lo spinse ad entrare nella formazione partigiana "Fantacci" seguendo il padre Ottorino Santini, rimanendo con questa formazione anche quando il padre passò alla formazione "Agliana".
Venne sorpreso e catturato il 24 agosto 1944 da una pattuglia tedesca in un bosco vicino Torricchio di Serravalle e portato prigioniero al comando tedesco in una villa di Groppoli

Dopo una notte di interrogatori e torture (strappandogli le unghie dalle mani - NB) fu legato col filo di ferro al tronco di una pianta di ulivo e fucilato[2]

Monumento in onore di Adelmo Santini, nel luogo ove venne fucilato

Riconoscimenti

  • Croce al Merito di Guerra per attività partigiana, assegnatagli nel 1972[3].
  • Sul luogo della sua fucilazione è stato eretto un cippo monumento a suo ricordo che ingloba il tronco della pianta[4].
  • Ad Agliana, una via è dedicata al suo nome[5].


Bibliografia

  • Gian Piero Pagnini,1943-1945, la liberazione in Toscana: la storia, la memoria, Volume 1,1994
  • Renato Risaliti, Antifascismo e resistenza nel pistoiese, Tellini, 1976, p.228

Collegamenti esterni

Partigiani locali : Magni Magnino


Magnino Magni, eroe indimenticato



Quando nacque, il padre bruciò un pagliaio e piantò un albero per festeggiare il primo figlio maschio venuto al mondo. Dopo due femmine, in casa Magni, aspettavano solo un "magnino". Era il 7 giugno del 1914.  Non trascorsero molti anni e quel bimbo così atteso divenne uno dei massimi organizzatori della resistenza pistoiese. Nella sua casa di San Piero si ritrovavano tutti gli antifascisti della zona; era un'abitazione contadina, lì in quella via aglianese che oggi porta il nome del partigiano. 

A cento metri c'era il bar Italia, un altro punto di raccolta per armi e idee.  I nazi-fascisti tenevano sott'occhio la casa. «Una notte del '44 sentimmo un camion dei tedeschi sotto la finestra. Il babbo ci disse «state calmi, si vedrà se son venuti per noi». Ci stringemmo tutti in silenzio. Alla fine presero solo un maiale. Quella sera non me la scorderò mai». A parlare è Giuseppe Magni, fratello minore del compianto eroe. Lui ricorda ogni momento di quegli anni. Magnino gli disse: «Bisogna dare la libertà a te che hai 16 anni come agli altri». «A Pistoia - dice Giuseppe - molti volevano sostituire il nero col rosso. Lui invece voleva la liberazione per tutti».  I fascisti lo cercavano da tempo. L'avevano visto pagare una cassa da morto per il partigiano russo Ivan Baranovskijl, ucciso nel '43 e lasciato in piazza a San Piero per tre giorni. «Quando Magnino tornò dai monti - racconta Giuseppe - radunò la gente per dare al compagno una sepoltura dignitosa».  

Da lì i sospetti crebbero enormemente. Il Magni faceva la spola tra Agliana e Tobbiana. Un carabiniere di Firenze, parente della famiglia, gli propose di rifugiarsi in una chiesa "da ricchi" dove non sarebbero arrivati i bombardamenti, ma lui disse: «I miei compagni non li lascio. Preferisco tornare in montagna». E infatti non li lasciò fino all'ultimo.  Su a Treppio, il 17 aprile del '44, coprì la fuga dei partigiani assediati dai tedeschi. In compagnia della sola mitragliatrice fu colpito al capo. Aveva 29 anni. Lo riportarono giù i nazi-fascisti. «In piazza continuarono ad accanirsi sul corpo già morto. Lo pugnalarono per dare una dimostrazione a tutti», dice il fratello.  «Quando fu portato da Pistoia ad Agliana c'era una fila di gente che non finiva più - aggiunge la sorella Pia Magni -. Io pensavo: ma quegli americani non arrivano mai!». La bandiera rossa avvolse la bara fino alla soglia della chiesa, oltre non potè entrare. A casa c'erano il piccolo Marcello di appena 11 mesi e il figlio maggiore di 3 anni.  La mamma, Rina Quercioli detta Fulvia, fu minacciata dai tedeschi quando ancora era col pancione. «Vennero in casa per ammazzarla e dissero: «aspettiamo che abbia fatto il bambino». La portammo ai Casini di Quarrata per partorire - ricorda Giuseppe -. Me la caricai sulla canna della bicicletta. Qualche tempo dopo tornammo a San Piero con Marcello sul manubrio. Mio babbo una volta disse a Magnino: «Hai due figlioli, rischi troppo». Ma a lui non importava. C'era qualcosa di più grande a cui non poteva sottrarsi. 

Anniversario 25 Aprile : Partigiani nazionali e locali


noidiqua.it

70 anni dalla Liberazione - 4 settembre 1944

Marco Bagnoli

di Marco Bagnoli
settembre 2014

storiche---Inaugurazione-del-Monumento-ai-Partigiani---10-Marzo-1946

Roma venne liberata il 4 giugno del ’44, Firenze l’11 agosto. All’indomani della liberazione di Milano si contano più di diecimila vittime tra la popolazione civile; la Toscana è uno dei territori maggiormente colpiti: le stragi nazifasciste, concentrate soprattutto tra l’aprile e l’agosto del 1944, furono più di 280, i comuni interessati 83 e i morti tra i civili furono circa 4.500, cui devono essere aggiunte diverse migliaia di morti tra i partigiani. Il 2 e 3 settembre del ‘44 i Tedeschi in ritirata fanno saltare i ponti sulla Brana, mentre i partigiani della formazione “Agliana” decidono di affrontarli apertamente, in attesa degli Alleati. Col paese ancora in parte occupato dai nazifascisti, il 4 settembre s’insedia la prima giunta comunale, nominata dal CLN. 

Buona parte di questa storia ci viene rammentata dalle strade e dai monumenti che ci circondano. Disponiamo di un buon assortimento di liberi pensatori, da Galileo a Giordano Bruno, da Dante a Leonardo; molti i musicisti, tra i quali Gaber e De André decisamente ascrivibili al primo gruppo. Se il versante risorgimentale non lamenta defezioni, piazza Ghandi, assieme a via Assisi e alla scuola intitolata a Capitini, ci insegnano un cammino non violento per l’indipendenza. La pura idealità è tratteggiata sulla via della Libertà, via della Repubblica, piazza della Resistenza, via XXV Aprile, via della Costituzione. 

Abbiamo due testimoni diretti della persecuzione totalitaria, Anna Frank e Primo Levi; e un manipolo di ostinati preti di campagna come don Minzoni, don Bosco, don Milani, don Gnocchi – assieme a don Bianchi e don Ceccarelli. I fratelli Cervi, Aldo Moro, Ilaria Alpi e Giacomo Matteotti passano il testimone a Enrico Berlinguer, a Sandro Pertini, a Giorgio la Pira. Sono i nomi che abbiamo deciso di avere come esempio, a sprone ideale delle nostre giornate; alcuni nomi invece non ce li siamo potuti scegliere: sono i nomi dei nostri compaesani che non ci sono più. La maggior parte di essi sono incisi sulle lapidi che decorano l’edificio del vecchio comune; qualcuno ucciso qui, qualcun altro a Montale, qualcuno ancora deportato in Germania. Alcuni erano militari, sorpresi dall’armistizio; altri carabinieri, come quelli ricordati nel monumento a Salvo D’Acquisto.

Molti altri sono nelle pagine dei libri di storia locale, ma lontana settant’anni; molti sono partigiani – quattro di loro ricordati sulle facciate del monumento in piazza della Resistenza. Germano Bellucci è stato ucciso prima del suo ventunesimo compleanno, il 19 settembre del ’43; si trovava a Klana, all’epoca territorio italiano. Al giro di boa dell’otto settembre decise di schierarsi con la resistenza locale. Il suo nome è stato per tanti anni legato al campo sportivo, lo spazio della fiera. Ivan Baranowski, detto Paolo, era invece un prigioniero russo sfuggito ai tedeschi sulla via Fiorentina e riparato presso il gruppo di Agliana: la notte del 3 marzo del ’44 è il più esposto nel corso di un’azione e perde la vita, aveva 26 anni. 

La via che unisce San Piero a San Niccolò è intitolata a Magnino Magni: faceva il panettiere, aveva una moglie e due figli – è morto a trent’anni, a Treppio, mentre copriva la ritirata dei compagni, il 17 aprile del ’44, medaglia d’argento al valor militare. Adelmo Santini di anni ne aveva ancora sedici quando il 25 agosto venne fucilato a Villa di Groppoli, sede del comando tedesco, dopo aver resistito tutta la notte all’interrogatorio. Anche a Gino Cecchi, fucilato alla Casa rossa il 14 luglio, assieme a Dino Nerozzi e Elio Tonsoni, è stata dedicata una strada.


Nella foto: inaugurazione del Monumento ai Partigiani in piazza del Comune, 10 marzo 1946.

lunedì 16 aprile 2018

Film e storia : The Happy Prince - L'ultimo ritratto di Oscar Wilde




Nella stanza di una modesta pensione di Parigi, Oscar Wilde (Rupert Everett) trascorre gli ultimi giorni della sua vita e come in un vivido sogno i ricordi del suo passato riaffiorano, trasportandolo in altre epoche e in altri luoghi. Non era lui un tempo l’uomo più famoso di Londra? L’artista idolatrato da quella società che l’ha poi crocifisso? Oggi Wilde ripensa con malinconia alle passioni che l’hanno travolto e con tenerezza al suo incessante bisogno di amare incondizionatamente. Rivive la sua fatale relazione con Lord Alfred Douglas (Colin Morgan) e le sue fughe attraverso l’Europa, ma anche il grande rimorso nei confronti della moglie Constance (Emily Watson) per aver gettato lei e i loro figli nello scandalo per l’ingiusta condanna della sua omosessualità. Ad accompagnarlo in questo ultimo viaggio solo l’amore e la dedizione di Robbie Ross (Edwin Thomas), che gli resta accanto fino alla fine nel vano tentativo di salvarlo da sè stesso e l’ affetto del suo più caro amico Reggie Turner (Colin Firth). THE HAPPY PRINCE è un inedito ritratto del lato più intimo di un genio che visse e morì per amore. 

FONTE :  https://www.youtube.com/watch?v=twqlOqepYYw

domenica 15 aprile 2018