Magnino Magni, eroe indimenticato
Quando nacque, il padre bruciò un pagliaio e piantò un albero per festeggiare il primo figlio maschio venuto al mondo. Dopo due femmine, in casa Magni, aspettavano solo un "magnino". Era il 7 giugno del 1914. Non trascorsero molti anni e quel bimbo così atteso divenne uno dei massimi organizzatori della resistenza pistoiese. Nella sua casa di San Piero si ritrovavano tutti gli antifascisti della zona; era un'abitazione contadina, lì in quella via aglianese che oggi porta il nome del partigiano.
A cento metri c'era il bar Italia, un altro punto di raccolta per armi e idee. I nazi-fascisti tenevano sott'occhio la casa. «Una notte del '44 sentimmo un camion dei tedeschi sotto la finestra. Il babbo ci disse «state calmi, si vedrà se son venuti per noi». Ci stringemmo tutti in silenzio. Alla fine presero solo un maiale. Quella sera non me la scorderò mai». A parlare è Giuseppe Magni, fratello minore del compianto eroe. Lui ricorda ogni momento di quegli anni. Magnino gli disse: «Bisogna dare la libertà a te che hai 16 anni come agli altri». «A Pistoia - dice Giuseppe - molti volevano sostituire il nero col rosso. Lui invece voleva la liberazione per tutti». I fascisti lo cercavano da tempo. L'avevano visto pagare una cassa da morto per il partigiano russo Ivan Baranovskijl, ucciso nel '43 e lasciato in piazza a San Piero per tre giorni. «Quando Magnino tornò dai monti - racconta Giuseppe - radunò la gente per dare al compagno una sepoltura dignitosa».
Da lì i sospetti crebbero enormemente. Il Magni faceva la spola tra Agliana e Tobbiana. Un carabiniere di Firenze, parente della famiglia, gli propose di rifugiarsi in una chiesa "da ricchi" dove non sarebbero arrivati i bombardamenti, ma lui disse: «I miei compagni non li lascio. Preferisco tornare in montagna». E infatti non li lasciò fino all'ultimo. Su a Treppio, il 17 aprile del '44, coprì la fuga dei partigiani assediati dai tedeschi. In compagnia della sola mitragliatrice fu colpito al capo. Aveva 29 anni. Lo riportarono giù i nazi-fascisti. «In piazza continuarono ad accanirsi sul corpo già morto. Lo pugnalarono per dare una dimostrazione a tutti», dice il fratello. «Quando fu portato da Pistoia ad Agliana c'era una fila di gente che non finiva più - aggiunge la sorella Pia Magni -. Io pensavo: ma quegli americani non arrivano mai!». La bandiera rossa avvolse la bara fino alla soglia della chiesa, oltre non potè entrare. A casa c'erano il piccolo Marcello di appena 11 mesi e il figlio maggiore di 3 anni. La mamma, Rina Quercioli detta Fulvia, fu minacciata dai tedeschi quando ancora era col pancione. «Vennero in casa per ammazzarla e dissero: «aspettiamo che abbia fatto il bambino». La portammo ai Casini di Quarrata per partorire - ricorda Giuseppe -. Me la caricai sulla canna della bicicletta. Qualche tempo dopo tornammo a San Piero con Marcello sul manubrio. Mio babbo una volta disse a Magnino: «Hai due figlioli, rischi troppo». Ma a lui non importava. C'era qualcosa di più grande a cui non poteva sottrarsi.
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