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venerdì 31 maggio 2019

La partita del secolo : Italia - Germania 4-3 (Mondiali Messico 1970 - Semifinale)

LINK PARTITA : https://youtu.be/jsnMLt6te7s

Partita del secolo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Partita del secolo
Dettagli evento
Competizione Campionato mondiale di calcio 1970
Data 17 giugno 1970
Città Città del Messico
Impianto di gioco Stadio Azteca
Spettatori 102 444
Risultato
Italia Italia
4
Germania Ovest Germania Ovest
3
1-1 dopo i tempi regolamentari
Arbitro Messico Arturo Yamasaki
«Che meravigliosa partita, ascoltatori italiani!»
(Nando Martellini dopo il gol del 4-3 di Gianni Rivera.)

Partita del secolo (in tedesco: Jahrhundertspiel, in spagnolo: Partido del siglo, in Inglese: Game of the Century) è il termine con cui ci si riferisce all'incontro di semifinale del Mondiale di Messico 1970 che si tenne il 17 giugno 1970 allo stadio Azteca di Città del Messico tra le nazionali di Italia e Germania Ovest, vinto dagli azzurri per 4-3.

Antefatti

Qualche velo di polemica era stato alzato da Gianni Rivera sulla pressione che i giornalisti esercitavano sulla Nazionale, colpevoli, secondo lui, delle sconfitte del '62 e del '66 e del tiepido inizio nei mondiali messicani[1]. In primis, gli italiani non avevano entusiasmato nel girone eliminatorio; pur finendo primi, erano riusciti a racimolare solamente una vittoria, 1-0 contro la Svezia, e due pareggi a reti inviolate, contro l'Uruguay e soprattutto contro l'esordiente Israele; in realtà in quest'ultima partita l'Italia aveva segnato (con Domenghini e Riva) due reti, giudicate regolari dai commentatori ma annullate dall'arbitro, il brasiliano Vieira de Moraes, su segnalazione di un guardalinee etiope (fra l'altro, questa fu l'ultima partita commentata dal celebre telecronista Nicolò Carosio a causa di presunte sue affermazioni, poi smentite negli anni, di un giudizio di carattere razzista nei confronti del guardalinee, che comportò l'allontanamento definitivo di Carosio dalle telecronache).[2] Questo aspetto passò però in secondo piano quando gli azzurri sconfissero i padroni di casa del Messico per 4-1 nei quarti di finale.
La polemica che più di ogni altra minava la tranquillità dei ragazzi del CT Ferruccio Valcareggi, e che esploderà dopo la finale, era però quella della famosa "staffetta" tra l'interista Sandro Mazzola e il milanista Gianni Rivera, Pallone d'oro 1969[3][4].
La Germania Ovest si presentava all'Azteca fiduciosa: stravinto il girone eliminatorio, era riuscita nei quarti in un'impresa ottima, ribaltando nei tempi supplementari contro i campioni in carica dell'Inghilterra lo 0-2 con cui i britannici conducevano fino a venti minuti dalla fine (fu anche la prima vittoria in assoluto dei tedeschi sugli inglesi). I teutonici scesero così in campo, il 17 giugno, da favoriti.

La partita

La targa commemorativa della partita, apposta all'esterno dello Stadio Azteca

La partita ha inizio alle ore 16:00 di mercoledì 17 giugno 1970 presso lo Stadio Azteca di Città del Messico, a circa 2.200 m d'altitudine e sotto la direzione dell'arbitro peruviano Arturo Yamasaki. Le due Nazionali sono arrivate in semifinale attraverso percorsi differenti: l'Italia, Campione d'Europa uscente, nella fase eliminatoria ha racimolato una sola vittoria contro la Svezia, grazie all'1-0 siglato al 10' da Angelo Domenghini, e due pareggi a reti inviolate contro Uruguay e l'esordiente Israele, chiudendo al primo posto il proprio girone, mentre ai quarti si è facilmente sbarazzata dei padroni di casa del Messico con un perentorio 4-1. La Germania, invece, è reduce da tre vittorie consecutive nella prima fase eliminatoria contro Marocco (2-1), Bulgaria (5-2) e Perù (3-1) e successivamente nei quarti di finale elimina i quotati campioni del mondo in carica dell'Inghilterra, i quali cedono solo ai tempi supplementari al 108' con rete del solito Gerd Muller (3-2) che poi risulterà essere alla fine del torneo il capocannoniere con ben 10 reti. Il calcio d'inizio è affidato alla Nazionale di Ferruccio Valcareggi, che già dal primo minuto inizia a tessere la sua ragnatela di passaggi, in modo tale da stancare l'avversario, scongiurare i tentativi di attacco e preservare il possesso palla. La partita si sblocca all'8' minuto di gioco: al termine di una bella combinazione con Gigi Riva, Roberto Boninsegna, appena ricevuto il pallone, viene prontamente accerchiato dal reparto difensivo tedesco, che non può nulla contro il potente tiro dalla distanza di Boninsegna, che col sinistro batte il portiere Sepp Maier dal limite dell'area. Per i seguenti ottanta minuti l'Italia giocò una partita difensiva, tenendo sulle spine i tedeschi con alcuni insidiosi contropiede. Il portiere italiano Enrico Albertosi, al 89', salvò il risultato deviando un pericoloso colpo di testa di Uwe Seeler.[5] Fu però il milanista Karl-Heinz Schnellinger, al suo primo e unico gol in quarantasette partite con la nazionale, a portare la gara in parità due minuti e mezzo oltre i tempi regolamentari. La cosa, contrariamente a quanto succede oggi, a quei tempi era più unica che rara; infatti praticamente in quasi tutte le partite gli arbitri fischiavano la fine allo scadere del 90º minuto. Questo spiega la delusione e lo sconcerto del telecronista Nando Martellini che al fischio finale dei tempi regolamentari disse al microfono: Questo Yamasaki! Due minuti e mezzo dopo la fine del tempo regolamentare!
Iniziarono così i tempi supplementari che, per la straordinaria densità di emozioni offerte, entrarono nella storia: al gol di Gerd Müller al 94', abile a sfruttare un errato tocco della difesa italiana dopo un debole colpo di testa di Uwe Seeler, rispose un difensore azzurro, Tarcisio Burgnich (al suo secondo e ultimo gol in nazionale in sessantasei partite), su un errore difensivo tedesco. L'Italia, un minuto prima della fine del primo tempo supplementare, passò addirittura in vantaggio, con uno straordinario assolo di Riva in contropiede.
Beckenbauer, a seguito di un infortunio che gli causò la lussazione di una spalla, restò stoicamente in campo - in quanto la Germania Ovest aveva già effettuato le due sostituzioni consentite dal regolamento dell'epoca - giocando con un braccio fasciato lungo il corpo, fino alla fine dei supplementari. Al quinto minuto del secondo tempo supplementare, la Germania Ovest trovò il pareggio. Il colpo di testa di Seeler su un pallone proveniente da un calcio d'angolo sembrò indirizzare la palla fuori, ma Müller intervenne di testa, trovando uno spiraglio tra Rivera (piazzato sulla linea di porta) e il palo. Albertosi non nascose affatto il suo rincrescimento nei confronti di Rivera, conscio che quell'errore poteva rivelarsi fondamentale per le sorti della gara.
Fu un'azione corale, a riportare dopo appena sessanta secondi l'Italia in vantaggio: palla rimessa in gioco dal centro campo, undici passaggi, nessun intervento dei tedeschi e conclusione dello stesso Rivera che di piatto superò Maier. Finì 4-3; l'Italia dopo trentadue anni era in finale del mondiale e per tutta la notte, nelle piazze italiane, l'impresa fu festeggiata come la vittoria del campionato stesso in attesa della finale vera e propria. In Germania Ovest invece la gente non prese bene la sconfitta: dopo la partita ci furono diversi episodi di caccia all'italiano e molte macchine a loro appartenenti furono date alle fiamme dai tifosi tedeschi inferociti. Fu una notte particolarmente difficile per le forze dell'ordine, tanto che, in occasione del successivo incontro tra Italia e Germania Ovest per la finale del mondiale del 1982, la polizia tedesca si organizzò attivandosi ai massimi livelli e con il massimo scrupolo per evitare il ripetersi dei disordini della notte del 1970.

Le critiche

Sul piano dell'impatto culturale, Italia-Germania Ovest può a buon diritto essere considerata una delle partite più emozionanti ed influenti nella storia del calcio professionistico. Amata dalla gente, che rimase incollata ai televisori fino a tarda notte per seguirla, suscitò disapprovazione tra i cosiddetti "puristi" della disciplina, che assistettero all'assoluto annullamento della tattica in favore dell'agonismo più puro. Uno di essi fu il notissimo giornalista Gianni Brera, che così commentò l'incontro, subito dopo la partita:
«I tedeschi sono battuti. Beckenbauer con braccio al collo fa tenerezza ai sentimenti. Ben sette gol sono stati segnati. Tre soli su azione degna di questo nome: Schnellinger, Riva, Rivera. Tutti gli altri, rimediati. Due autogol italiani (pensa te!). Un autogol tedesco (Burgnich). Una saetta di Bonimba ispirata da un rimpallo fortunato [...]
Come dico, la gente si è tanto commossa e divertita. Noi abbiamo rischiato l'infarto, non per scherzo, non per posa. Il calcio giocato è stato quasi tutto confuso e scadente, se dobbiamo giudicarlo sotto l'aspetto tecnico-tattico. Sotto l'aspetto agonistico, quindi anche sentimentale, una vera squisitezza, tanto è vero che i messicani non la finiscono di laudare (in quanto di calcio poco ne san masticare,
pori nan).
I tedeschi meritano l'onore delle armi. Hanno sbagliato meno di noi ma il loro prolungato errore tattico è stato fondamentale. Noi ne abbiamo commesse più di Ravetta, famoso scavezzacollo lombardo. Ci è andata bene. Siamo stati anche bravi a tentare sempre, dopo il grazioso regalo fatto a Burgnich (2-2). L'idea di impiegare i dioscuri Mazzola e Rivera è stata un po' meno allegra che nell'amichevole con il Messico. Effettivamente Rivera va tolto dalla difesa. Io non ce l'ho affatto con il biondo e gentile Rivera, maledetti: io non posso vedere il calcio a rovescio: sono pagato per fare questo mestiere. Vi siete accorti o no del disastro che Rivera ha propiziato nel secondo tempo?
»
(Gianni Brera, Il Giorno, 18 giugno 1970[6])
Brera ovviamente non negava affatto il fascino estremo della partita, resa epica anche dall'ora notturna in cui venne trasmessa in Italia, tanto da scrivere in un suo libro sulla storia del calcio italiano una frase che più di mille parole esprime lo stato d'animo di tutti i tifosi italiani alla fine di una partita terminata verso le 2 di notte:
«Le troiane Porte Scee e la porta di Maier si confondono nel cervello stranito di tutti.»
(Gianni Brera, Storia critica del calcio italiano)
Comunque, al di là delle critiche di Brera,
«L'eco dell'avvenimento fu enorme. I tifosi messicani decisero su due piedi di murare una lapide all'esterno dello Stadio Azteca per eternare una partita che aveva esaltato il gusto latino-americano per lo spettacolo e la battaglia. Un banchiere italiano, che seguiva la partita per televisione a Montevideo, cadde fulminato da un infarto. In Italia oltre trenta milioni di appassionati (...) rimasero incollati davanti al video, sebbene fosse mezzanotte passata. Molti andarono a coricarsi, sconsolati, quando Schnellinger aprì il fuoco nei tempi supplementari, ma alla rete di Burgnich un urlo lanciato in centinaia di case (...) e l'esito finale della pugna spinsero migliaia di appassionati nelle strade e nelle piazze...»
(Antonio Ghirelli, Storia del calcio in Italia)

Tabellino

Città del Messico
17 giugno 1970, ore 16 HDC
Italia Italia4 – 3
(d.t.s.)
referto
Germania Ovest Germania OvestEstadio Azteca (102 444 spett.)
Arbitro: Messico Arturo Yamasaki




GK 1 Enrico Albertosi
DF 2 Tarcisio Burgnich
DF 3 Giacinto Facchetti (c)
DF 5 Pierluigi Cera
DF 8 Roberto Rosato
Uscita al 91’ 91’
MF 10 Mario Bertini
MF 15 Sandro Mazzola
Uscita al 46’ 46’
MF 16 Giancarlo De Sisti
FW 13 Angelo Domenghini
FW 20 Roberto Boninsegna
FW 11 Luigi Riva
Sostituzioni:
MF 14 Gianni Rivera
Ingresso al 46’ 46’
DF 4 Fabrizio Poletti
Ingresso al 91’ 91’
CT:
Italia Ferruccio Valcareggi

GK 1 Sepp Maier
RB 7 Berti Vogts
CB 15 Bernd Patzke
Uscita al 66’ 66’
CB 5 Willi Schulz
LB 3 Karl-Heinz Schnellinger
CM 4 Franz Beckenbauer
CM 12 Wolfgang Overath
RW 20 Jürgen Grabowski
CF 9 Uwe Seeler (c)
CF 13 Gerd Müller
LW 17 Hannes Löhr
Uscita al 52’ 52’
Sostituzioni:
MF 14 Reinhard Libuda
Ingresso al 52’ 52’
MF 10 Sigfried Held
Ingresso al 66’ 66’
CT:
Germania Ovest Helmut Schön

Fumetti

La partita del secolo appare omaggiata anche nella storia "Topolino e il collezionista di stelle" apparsa su Topolino 3082.

Note

  1. ^ Giulio Accatino, "Troppe parole sulla Nazionale", in La Stampa, 28 maggio 1970, p. 18.
  2. ^ Massimo De Luca, E Carosio non disse mai «quel negro…» al guardalinee etiope, in www.corriere.it.
  3. ^ Scopigno: "Fuori squadra tutti e due", in La Stampa, 28 giugno 1970, p. 18.
  4. ^ Mazzola: "Stavo bene ma giusto anche per Rivera", in La Gazzetta dello Sport, 19 giugno 1970, p. 1.
  5. ^ Paolo Bertoldi, Boninsegna (8'), Schnellinger al 92' poi Mueller, Burgnich, Riva, Rivera, in La Stampa, 18 giugno 1970, p. 16.
  6. ^ Gianni Brera, Italia-Germania 4-3, in Il Giorno, 18 giugno 1970.

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sabato 25 maggio 2019

Film e storia : IL TRADITORE


 
 Il Traditore, il film di Marco Bellocchio, racconta il primo grande pentito di mafia, l'uomo che per primo consegnò le chiavi per avvicinarsi alla Piovra, cambiando così le sorti dei rapporti tra Stato e criminalità organizzata. Pierfrancesco Favino interpreta Tommaso Buscetta, il Boss dei due mondi, secondo una prospettiva inedita e mai studiata prima. All'inizio degli anni 80 è guerra tra le vecchie famiglie della mafia, Totò Riina e i Corleonesi. In palio c'è il controllo sul traffico di droga.
Alla festa di riconciliazione delle 'famiglie' Tommaso Buscetta sente il pericolo.
Decide di emigrare in Brasile per seguire i suoi traffici e allontanarsi dai Corleonesi che si accaniranno su due dei suoi figli e il fratello rimasti in Sicilia, e lui stesso è braccato anche in Brasile.
Ma prima della mafia è la polizia brasiliana ad arrestarlo. Ora ci sarà l'estradizione e la morte sicura in Italia. Ma il giudice Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi) gli offre un'alternativa: collaborare con la giustizia. Per il codice d'onore della mafia equivale a tradire.
Grazie alle sue rivelazioni viene istruito il Maxi-Processo con 475 imputati.
Le sentenze decimano la mafia, ma Totò Riina è ancora latitante.
La risposta è l'attentato a Falcone e alla sua scorta. Buscetta decide di fare nomi eccellenti della politica, è il testimone in numerosi processi e diventa sempre più popolare.
 
" Non sono i politici a comandare la Mafia ma viceversa".

" La Mafia non è solo crimine. Quello la polizia lo sa combattere bene. La Mafia è crimine, intelligenza e omertà".

Tommaso Buscetta nella deposizione del 1992 al processo (vedere video).
 
 
 
it.wikipedia.org

Tommaso Buscetta


Tommaso Buscetta, detto anche il boss dei due mondi[1] e don Masino[2] (Palermo, 13 luglio 1928New York, 2 aprile 2000), è stato un mafioso e collaboratore di giustizia italiano, membro di Cosa nostra.
È stato un esponente di massimo livello all'interno di Cosa nostra e, dopo l'arresto, collaboratore di giustizia durante le inchieste coordinate dal magistrato Giovanni Falcone; le sue rivelazioni permisero una ricostruzione giudiziaria dell'organizzazione e della struttura mafiosa siciliana.

Biografia

 

Gioventù


Tommaso Buscetta, durante un processo nel 1983.


Nato a Palermo il 13 luglio del 1928, in una famiglia poverissima (madre casalinga, padre vetraio), ultimo di 17 figli, si sposò a diciassette anni nel 1945 con Melchiorra Cavallaro dalla quale ebbe quattro figli: Felicia (nata nel 1946), Benedetto (nato nel 1948), Domenico e Antonio. Benedetto e Antonio furono vittime della lupara bianca nel corso della seconda guerra di mafia. Durante la sua vita, Buscetta ebbe tre mogli e otto figli.
Durante l'adolescenza, iniziò una serie di attività illegali nel mercato nero, come il furto di generi alimentari e la falsificazione delle tessere per il razionamento della farina, diffuse durante il ventennio fascista. Questa attività lo rese abbastanza celebre a Palermo, dove nonostante la giovanissima età venne soprannominato Don Masino.

 

Anni quaranta e cinquanta

Nel 1945 Buscetta venne affiliato alla cosca mafiosa di Porta Nuova. Nel 1949 si trasferì in Argentina e poi in Brasile, dove aprì una vetreria: gli scarsi risultati economici del suo nuovo lavoro lo costrinsero, nel 1956, a tornare a Palermo, dove si associò a Angelo La Barbera e a Salvatore "Cicchiteddu" Greco insieme ai mafiosi Antonino Sorci, Pietro Davì e Gaetano Badalamenti, con cui si occupò del contrabbando di sigarette e stupefacenti[3], diventando un pericoloso killer e gregario specialmente alle dipendenze di La Barbera[4]. Nel 1958 venne arrestato per contrabbando di sigarette e associazione a delinquere nel corso di un'indagine condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti del corso Pascal Molinelli e del tangerino Salomon Gozal, indicati come i maggiori fornitori di sigarette e stupefacenti alle cosche siciliane; nel gennaio 1959 venne nuovamente arrestato per il contrabbando di due tonnellate di sigarette al largo di Crotone, da dove si andava a rifornire in territorio iugoslavo[5][6].

 

Anni sessanta

Nel 1962, in seguito allo scoppio della cosiddetta "prima guerra di mafia", Buscetta si schierò dalla parte di Angelo La Barbera ma in seguito passò al gruppo di Salvatore "Cicchiteddu" Greco, tenendosi tuttavia nell'ombra per timore di essere soppresso[3]. Nel 1963 La Barbera riuscì a sopravvivere a un agguato a Milano, venendo però arrestato mentre era ricoverato in un ospedale: la polizia, basandosi soprattutto su fonti confidenziali e ricostruzioni indiziarie, sospettò fortemente Buscetta e il suo associato Gerlando Alberti di essere gli autori dell'agguato[7] e lo indicò come il principale killer e sodale dei boss Pietro Torretta e Michele Cavataio, sospettandolo insieme a loro anche per la strage di Ciaculli, in cui morirono sette uomini delle forze dell'ordine[8]: negli anni successivi Buscetta ammetterà di avere accettato l'incarico di uccidere La Barbera ma un altro gruppo di fuoco mafioso lo anticipò compiendo l'agguato[9]; per quanto riguarda la strage di Ciaculli e gli altri omicidi della prima guerra di mafia, sostenne che erano imputabili soltanto a Michele Cavataio e non a lui per via della sua amicizia con Salvatore "Cicchiteddu" Greco[10].
In seguito alla strage di Ciaculli era ricercato dalle forze dell'ordine e quindi fuggì in Svizzera, Messico, Canada e infine negli Stati Uniti, dove aprì una pizzeria con un prestito della Famiglia Gambino[11]. Intanto nel dicembre 1968 Buscetta venne condannato in contumacia a dieci anni di carcere per associazione a delinquere nel processo svoltosi a Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia e, nello stesso processo, venne assolto per insufficienza di prove per le imputazioni riguardanti la strage di Ciaculli[10][12].

 

Anni settanta

Nel 1970 Buscetta soggiornò sotto falso nome a Zurigo, Milano e Catania per partecipare ad alcuni incontri insieme a Salvatore Greco per discutere sulla ricostruzione della "Commissione" e sull'implicazione dei mafiosi siciliani nel Golpe Borghese[13][14]. Nello stesso periodo venne arrestato a Brooklyn e rilasciato subito dietro pagamento di una cauzione di 40.000 dollari[15][16]: dopo il rilascio, lasciò gli Stati Uniti e si trasferì in Brasile, da dove inviò eroina e cocaina in Nordamerica, creando in pochi anni un sistema di aerei per poterla trasportare e inoltre costituì una compagnia di tassisti per poter reinvestire il denaro frutto del traffico di stupefacenti[17] (Buscetta ha, però, sempre smentito con forza di aver mai trafficato droga in tutta la sua vita). Per dieci anni riuscì a eludere la legge, utilizzando false identità (Manuel López Cadena, Adalberto Barbieri e Paulo Roberto Felice), sottoponendosi anche a un'operazione di chirurgia plastica[1], e spostandosi da paese a paese, passando per gli Stati Uniti d'America, il Brasile e il Messico.
Arrestato dalla polizia brasiliana il 2 novembre del 1972 e successivamente estradato in Italia, venne rinchiuso nel carcere dell'Ucciardone e condannato a dieci anni di reclusione, ridotti a otto in appello, per traffico di stupefacenti. Nel suo deposito blindato in Brasile, le autorità trovarono eroina pura per un valore di 25 miliardi di lire dell'epoca[18].

 

Anni ottanta

Trasferito nel carcere piemontese delle Nuove nel 1980, riuscì ad evadere quando gli venne concessa la semilibertà e si nascose nella villa dell'esattore Nino Salvo, sotto la protezione dei boss Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo, che lo volevano convincere a schierarsi dalla loro parte per uccidere il loro avversario Salvatore Riina[19][20]. Tuttavia nel gennaio 1981 Buscetta preferì fare ritorno in Brasile per estraniarsi dalla vicenda e si sottopose a un nuovo intervento di chirurgia plastica oltre che a un intervento per modificare la voce[18].

Tommaso Buscetta il 15 luglio 1984 all'aeroporto di Roma.


Durante la seconda guerra di mafia, lo schieramento vincente dei Corleonesi, guidato da Riina, decise di eliminare Buscetta perché strettamente legato a Bontate, Inzerillo e Badalamenti; ma, a causa dell'impossibilità di eliminarlo perché si trovava in Brasile, attuarono vendette trasversali contro i suoi parenti: tra il 1982 e il 1984 i due figli di Buscetta scomparvero per non essere mai più ritrovati[21] e inoltre gli vennero uccisi un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti[21]. Alla fine della guerra i parenti morti saranno undici[22]. Dopo gli omicidi dei suoi familiari, Buscetta era intenzionato a uccidere il suo capofamiglia Pippo Calò, che aveva fatto causa comune con i Corleonesi, e per questo avviò una corrispondenza con il suo associato Gerlando Alberti (all'epoca detenuto) perché cercava appoggi per poter tornare a Palermo; però Alberti rimase vittima di un tentato omicidio in carcere e quindi il piano fallì[23].
Il 23 ottobre 1983 quaranta poliziotti circondarono la sua abitazione a San Paolo e lo arrestarono mentre era in compagnia di Leonardo Badalamenti, figlio del boss Gaetano[24]. A nulla valse un tentativo di corruzione operato dallo stesso Buscetta[18], che venne rinchiuso in prigione per alcuni omicidi collegati con lo spaccio di droga[18]. Nel 1984 i giudici Giovanni Falcone e Vincenzo Geraci si recarono da lui invitandolo a collaborare con la giustizia, ma inizialmente rifiutò. Lo Stato italiano ne chiese allora l'estradizione alle autorità brasiliane. Quando questa venne concessa[25], per evitarla, tentò il suicidio ingerendo della stricnina[26]. Salvato, arrivò in Italia dove decise di collaborare, cominciando a rivelare organigrammi e piani della mafia al giudice Falcone[27]. Viene per questo considerato uno dei primi collaboratori della storia, dopo Leonardo Vitale[28]. Egli non condivideva più quella che era la nuova Cosa nostra, poiché sosteneva che essa stessa aveva perso la sua identità[29].
Grazie alla sua collaborazione, i magistrati hanno capito e conosciuto il sistema di Cosa Nostra[30], alla base del quale vi erano i soldati scelti dalla famiglia, sopra di essi i capi decina, scelti dal capo della famiglia, sopra ancora vi erano i consiglieri e il sottocapo, e infine il capo famiglia. Tuttavia Buscetta rifiutò di parlare con il giudice Falcone dei legami politici di Cosa Nostra perché, secondo il suo parere, «lo Stato non era pronto» per dichiarazioni di quella portata e si dimostrò abbastanza generico su quell'argomento[31].
Nel 1984 venne estradato negli Stati Uniti ricevendo dal governo una nuova identità, la cittadinanza e la libertà vigilata in cambio di nuove rivelazioni contro Cosa nostra americana[32][33], testimoniando nel 1986 al Maxiprocesso di Palermo (scaturito dalle dichiarazioni rese a Falcone)[34] e nel processo "Pizza connection", che si svolse a New York e vide imputati Gaetano Badalamenti e altri mafiosi siculo-americani accusati di traffico di stupefacenti[35].

 

Anni novanta

Nell'estate del 1992, in seguito agli attentati in cui morirono Falcone e Borsellino, Buscetta iniziò a parlare con i magistrati dei legami politici di Cosa Nostra, accusando gli onorevoli Salvo Lima (ucciso qualche mese prima) e Giulio Andreotti di essere i principali referenti politici dell'organizzazione; in particolare riferì di aver conosciuto personalmente Lima fin dalla fine degli anni cinquanta e di averlo incontrato l'ultima volta nel 1980 durante la sua latitanza e riferì inoltre di aver saputo che l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli (1979) sarebbe stato compiuto nell'interesse di Giulio Andreotti[36][37]: per via di queste sue dichiarazioni fu uno dei principali testimoni dei processi a carico di Andreotti per associazione mafiosa e per l'omicidio Pecorelli[38]. Andreotti verrà assolto dall'accusa di aver commissionato l'assassinio di Pecorelli, mentre verrà accertata la sua connivenza con la mafia per fatti anteriori al 1980, prescritti al momento dell'emissione della sentenza. Nel marzo 1995 suo nipote Domenico venne ucciso dal boss Leoluca Bagarella, che tre mesi dopo sarebbe stato arrestato.
Dopo aver fatto parlare di sé per una crociera nel Mediterraneo[39], morì di cancro nel 2000 all'età di 71 anni[40], non prima di aver manifestato, in un libro-intervista di Saverio Lodato (ed. Mondadori, 1999), il suo disappunto per la mancata distruzione di Cosa Nostra da parte dello Stato italiano[41].

 

Vita privata

Buscetta si sposò tre volte e ebbe sei figli. Ad un certo punto fu sospeso dalla mafia per aver lasciato la sua prima moglie. L'adulterio era infatti considerato un grave reato. Durante un processo nel 1993 Salvatore Cancemi confessò a Buscetta di aver strangolato a morte due dei suoi figli, Buscetta lo perdonò, dicendo che sapeva che non avrebbe potuto rifiutare l'ordine.
In un'intervista con il giornalista Enzo Biagi, affermò di aver perso la verginità a otto anni con una prostituta che gli fece pagare solo una bottiglia di olio d'oliva. Disse anche che Luciano Liggio, contro ogni regola, fece affiliare Peppuccio Di Girolamo dentro la potentissima famiglia dei Piromalli in Calabria. Infatti, don Masino ebbe a lamentarsi in Commissione che Liggio aveva osato sottrargli un valoroso ragazzo appartenente al proprio territorio affiliandolo alla "ndrangheta".

Nella cultura di massa



venerdì 17 maggio 2019

Film e storia : Ted Bundy - Fascino Criminale

 
Autore di più di trenta omicidi, Ted Bundy è uno dei più famosi serial killer della storia americana. Il film racconta la sua storia dal punto di vista della fidanzata. L'arresto di Ted Bundy e i vari processi che ne sono seguiti dal punto di vista della sua fidanzata Liz. Ted appare come un uomo piacente, seducente con le donne, ma sempre fedele a Liz, al punto da sembrare un bravo ragazzo e tutt'altro che un serial killer. Per Liz è quindi uno shock quando alla fine arriva la prova schiacciante della sua colpevolezza. Trailer e recensione vera storia di Ted con il film in fondo all'articolo.


it.wikipedia.org

Ted Bundy

Avvertenza
Alcuni dei contenuti riportati potrebbero urtare la sensibilità di chi legge. Le informazioni hanno solo un fine illustrativo. Wikipedia può contenere materiale discutibile: leggi le avvertenze.

TedBundyprisonFlorida.jpg
Teodhore Bundy in una conferenza a Florida, nel luglio 1978
Altri nomiTeodhore
"Ted" Bundy
Kenneth Misner
Chris Hagen
Richard Burton
Ufficiale Roseland
Rolf Miller
SoprannomiLady Killer, Killer delle Studentesse
NascitaBurlington, 24 novembre 1946
MorteStarke, 24 gennaio 1989
Vittime accertate30-35
Vittime sospettate35-50+
Periodo omicidiPresumibilmente dal 13 agosto 1961 o dal 1969; 1º febbraio 1974-9 febbraio 1978
Luoghi colpitiColorado, Florida, Idaho, Oregon, Utah, Washington, California
Metodi uccisioneAssalto con arma bianca, strangolamento; solitamente attirava a sé la vittima con degli stratagemmi
Altri criminiStupro, rapina aggravata, evasione, tentato omicidio, occultamento di cadavere, atti di necrofilia e mutilazione
Arresto15 febbraio 1978; in precedenza evase due volte
ProvvedimentiSedia elettrica
Periodo detenzione15 febbraio 1978-24 gennaio 1989



Theodore Robert Bundy (Burlington, 24 novembre 1946Starke, 24 gennaio 1989) è stato un serial killer statunitense, autore di almeno 30-35 omicidi ai danni di giovani donne negli Stati Uniti tra il 1974 e il 1978; potrebbe avere colpito anche prima, a partire dagli anni '60.
Bundy è ricordato come un uomo affascinante, tratto che sfruttava per conquistare la fiducia delle sue vittime. Era solito attirare la loro attenzione fingendo di essere disabile o in difficoltà, oppure impersonando una figura autoritaria, per poi aggredirle e stuprarle in luoghi appartati. Talvolta ritornava sulla scena del crimine per avere rapporti sessuali con i cadaveri in decomposizione, almeno finché la putrefazione non era tale da rendere questi atti impraticabili. Ha decapitato almeno 12 vittime, conservandone le teste nel suo appartamento come trofeo. In alcune occasioni ha semplicemente fatto irruzione nelle abitazioni delle vittime bastonandole mentre dormivano.

Fu inizialmente incarcerato nello Utah nel 1975 per sequestro di persona con tentata aggressione, e successivamente fu sospettato di diversi altri omicidi irrisolti in molti altri stati americani. Di fronte alle accuse di omicidio in Colorado, progettò due fughe per poi compiere altre aggressioni, tra cui tre omicidi, finché non fu nuovamente catturato in Florida nel 1978. Ricevette tre condanne a morte in due processi separati per gli omicidi in Florida.
Morì sulla sedia elettrica il 24 gennaio 1989 alla Raiford Prison di Starke, Florida.

La sua biografa e conoscente personale Ann Rule lo ha descritto come "un sadico sociopatico che traeva piacere dal dolore altrui e dal senso di potere che provava verso le sue vittime, sia quando stavano per morire, che dopo".[1] Si è definito "[...] il più insensibile figlio di puttana che tu abbia mai visto".[2][3] Il procuratore Polly Nelson, uno dei membri che aveva il compito di difenderlo in tribunale, scrisse che "era la precisa definizione del male".[4]

La vita

Infanzia

Bundy nasce a Burlington il 24 novembre 1946 da Eleanor Louise Cowell nell'ospedale Elizabeth Lund Home For Unwed Mothers (ora chiamato Lund Family Center[5]). L'identità del padre non fu mai determinata con certezza. Il suo certificato di nascita attribuì la paternità a un venditore e veterano dell'Air Force di nome Lloyd Marshall,[6] sebbene la madre avesse poi sostenuto che il padre fosse "un marinaio"[7] di nome Jack Worthington.[8][9][10] Gli investigatori non riuscirono a trovare nessuno che rispondesse a questo nome negli archivi della marina.[10] Inoltre alcuni familiari sospettavano che potesse essere stato il padre stesso di Louise, Samuel Cowell, ad aver violentato la figlia,[8] ma non è stato possibile raccogliere alcuna prova di questa tesi.[11]
Per i primi tre anni di vita Bundy visse a Philadelphia con i nonni materni, Samuel ed Eleanor Cowell, che lo crebbero come figlio proprio per evitare la stigmatizzazione sociale che si ripercuote sui figli illegittimi. Alla famiglia, agli amici e al piccolo Ted Bundy fu sempre detto che i nonni fossero i suoi genitori biologici, mentre la madre fosse sua sorella maggiore. Cresciuto (l'età è imprecisata) venne a sapere la verità: disse alla sua fidanzata dell'epoca che suo cugino gli aveva mostrato la verità, mentre a Stephen Michaud e Hugh Aynesworth disse invece di aver trovato il certificato da sé.[12] Ann Rule, sua biografa e scrittrice specializzata in crimini nonché sua conoscente personale, è dell'opinione che Bundy abbia trovato il suo certificato di nascita originale nel 1969 in Vermont.[13]

Per tutta la vita Bundy espresse risentimento verso la madre per avergli mentito così a lungo, lasciandogli scoprire la verità da solo.[14] Mentre Ted Bundy durante le interviste parlò sempre dei suoi nonni con affetto,[15] dicendo ad Ann Rule che "si identificava" con il nonno e che provava "rispetto" e "attaccamento" nei suoi confronti,[16] dalle dichiarazioni dei membri della famiglia fatte ai procuratori legali emerse un ritratto negativo di Samuel Cowell: un tiranno bigotto razzista antisemita e anticattolico che si mostrava violento nei confronti della moglie, del cane di famiglia e dei gatti del quartiere.[9] Più di una volta la sua rabbia sconfinò nella violenza, soprattutto quando la questione della paternità di Ted Bundy veniva sollevata. 

Una volta scaraventò Julia, la sorella minore di Louise, giù dalle scale[9]; inoltre spesso si rivolgeva ad alta voce a "invisibili presenze".[17]
Dai racconti di Ted Bundy emerge una nonna timida e obbediente che periodicamente si sottoponeva a sedute di terapia elettroconvulsivante per combattere la depressione di cui soffriva. Nella fase finale della sua vita inoltre non usciva più di casa.[18] Anche da bambino Ted mostrava comportamenti inquietanti: Julia racconta che un giorno si svegliò circondata da coltelli da cucina mentre Ted, di soli tre anni, se ne stava in piedi vicino al letto guardandola con un sorriso.[19]
Nel 1950 Louise cambiò il suo cognome da Cowell a Nelson ed eliminò il suo primo nome, Eleanor,[20] per poi lasciare, incitata da diversi familiari,[21] Philadelphia con Ted e andare a vivere dai suoi cugini Alan e Jane Scott a Tacoma nello Stato del Washington. Nel 1951 Louise conobbe a un incontro per single della chiesa metodista di Tacoma,[22] Johnny Culpepper Bundy, un cuoco che lavorava in un ospedale. Lo stesso anno si sposarono e Johnny Bundy adottò ufficialmente Ted.[22] Successivamente Johnny e Louise concepirono altri quattro figli e, sebbene Johnny tentasse di far sentire accolto anche il figlio adottato includendolo nelle attività di famiglia o nelle gite in campeggio, Ted rimase distante nei suoi confronti. Più tardi si lamentò con la sua ragazza dell'epoca di come Johnny non fosse il suo vero padre e di come "non fosse molto brillante" e neanche tanto ricco finanziariamente.
 

Bundy nel 1965 in una foto tratta dall'annuario scolastico del liceo


Le vicende che riguardano la vita di Ted Bundy a Tacoma non sono sempre coerenti tra le varie biografie. Stephen Michaud e Hugh Aynesworth riportano che Bundy dichiarò che aveva l'abitudine di vagabondare per il quartiere e frugare tra la spazzatura alla ricerca di fotografie pornografiche.[24] A Polly Nelson racconta di come fosse interessato alle riviste pulp, ai romanzi polizieschi e ai documentari di cronaca nera che riguardavano violenze sessuali, in particolare se erano illustrati con immagini di corpi morti o mutilati[25]. In una lettera ad Ann Rule dichiara invece che al solo pensiero di leggere questo genere di fiction avrebbe rabbrividito.[26] A Stephen Michaud descrisse le sue serate da ubriaco in cerca di finestre non coperte dalle tende da cui poteva spiare donne svestite o "qualsiasi altra cosa potesse essere vista".[27]

Anni successivi

L'adolescenza lo cambiò, divenne un bullo egli stesso, commettendo vari furti. Successivamente fu attratto dallo studio, dalla politica e dallo sci, isolandosi dalla comunità. Bundy rimase disoccupato poiché non si impegnava nei suoi saltuari lavori. Nel 1967 trovò una donna di buona famiglia, Stephanie Brooks, con cui provò a legarsi. La ragazza, dopo essersi laureata, troncò ogni rapporto, causandogli uno shock dal quale non si riprese. In quel periodo egli scoprì le sue origini e questo aggravò molto una situazione già precaria: quella che riteneva sua sorella in realtà era sua madre e ciò provocò in Bundy un trauma, secondo molti la molla finale che lo spinse ad uccidere.

Il periodo di depressione cominciò a placarsi nel 1969, quando decise di iscriversi nuovamente all'università, in cui seguì corsi di psicologia e legge. Poco tempo dopo prese la tessera del Partito Repubblicano - diventandone una giovane promessa - e cominciò una relazione con la giovane Elizabeth Kloepfer, una donna divorziata: è in questo periodo che Ted incontra Ann Rule, una donna che segnò la sua vita, diventandone amica e confidente, totalmente all'oscuro della sua doppia vita; tale esperienza venne descritta dalla Rule nel libro Un estraneo al mio fianco. E sempre in quel periodo fu indicato come "eroe" per aver salvato una bambina che stava annegando in un parco.

Gli omicidi

Il primo tentato omicidio avviene il 4 gennaio 1974: la vittima si chiamava Joni Lenz, 18 anni, picchiata nel suo letto con una spranga di ferro e con quest'ultima violentata. La giovane riuscirà a salvarsi riportando gravi lesioni, ma sarà solo una delle poche ragazze che si salveranno dalla furia violenta di Ted. Il 5 gennaio del 1974 i coinquilini della diciottenne Joni Lenz entrano nel suo appartamento, insospettiti dal fatto che la ragazza non si era fatta sentire per più di 24 ore. La trovano nella camera da letto, sanguinante e con profondi segni di violenza. La giovane ragazza era stata malmenata da Ted Bundy e violentata. La vittima, portata in ospedale, uscirà dal coma.

Un mese dopo scompare Lynda Ann Healy, rapita dalla sua casa, seguita da almeno altre 5 ragazze. Il 17 giugno 1974 viene ritrovato il corpo di Brenda Carol Ball e due mesi dopo sono stati trovati i resti di due ragazze scomparse il 14 luglio dal lago Sammamish, Janice Ott e Denise Naslund. Spunta fuori un testimone, una ragazza di nome Janice Graham, che raccontò alla polizia di come fosse stata adescata da un giovane ragazzo di nome Ted, che andava in giro con un braccio ingessato e che le aveva chiesto aiuto per caricare una barca a vela sul tetto della sua auto[28]. Arrivata all'auto la ragazza era stata invitata a salire a bordo del veicolo perché la barca non si trovava lì, ma in un luogo più appartato, ma Janice rifiutò l'offerta, e senza saperlo evitò una morte orribile. L'identikit di "Ted" appare su tutti i giornali e diverse persone fanno il nome di Bundy (tra queste vi sono anche Ann Rule e Meg Anders), ma prima che la polizia si possa muovere Bundy lascia Seattle e si trasferisce nello Utah.

Il 18 ottobre 1974 scompare la diciassettenne Melissa Smith, ritrovata il 27 vicino a Salt Lake City, violentata e sodomizzata. Il 31 ottobre scompare Laura Aime, ritrovata il giorno del Ringraziamento, picchiata, sodomizzata e strangolata. L'8 novembre Bundy compie il primo passo falso, tentando di rapire Carol DaRonch spacciandosi per un poliziotto e riuscendo a farla salire sulla sua Volkswagen Maggiolino; all'interno dell'auto la ragazza riesce a scappare dopo una violenta colluttazione. Poche ore dopo scompare Debbie Kent, che non viene più ritrovata. Spunta un'altra testimone, un'insegnante di nome Jean Graham, che racconta di come fosse stata avvicinata da un uomo che si era finto un poliziotto, ma che lei non aveva seguito. 



Bundy si sposta in Colorado, dove scompaiono almeno quattro donne tra gennaio e aprile 1975. La buona sorte aiuta gli investigatori il 16 agosto dello stesso anno, quando il poliziotto Bob Hayward ferma una Volkswagen Maggiolino che correva troppo; è l'auto di Bundy, dove vengono trovati una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e delle manette. Bundy viene arrestato e, dopo esser stato riconosciuto da Raelynn Shepard, viene messo sotto stretta sorveglianza in attesa di una prova definitiva. Sulla base di un quadro indiziario viene condannato per l'aggressione a Carol De Ronch, ma Bundy riesce a scappare saltando da una finestra proprio mentre l'FBI sta per incolparlo dei delitti in Colorado.

Ted viene ripreso sei giorni più tardi, ma riesce a evadere di nuovo il 30 dicembre 1977 e a raggiungere la Florida. Il 14 gennaio 1978 entra nella sede del gruppo studentesco Chi-Omega, uccidendo due ragazze mentre dormivano, Lisa Levy e Margaret Bowman di 20 e 21 anni, e mordendo ripetutamente i loro corpi. Ne ferisce altre due, Kathy Kleiner DeShields e Karen Chandler, che se la caveranno con qualche frattura al capo e con qualche dente rotto. Il 9 febbraio 1978 i genitori della dodicenne Kimberly Leach di Lake City ne denunciarono la scomparsa: il suo corpo fu trovato in pessimo stato otto settimane dopo in un parco. Due testimoni erano però riusciti a prendere il numero di targa della macchina guidata dall'uomo che l'aveva abbandonata, che si rivelò rubata. I ragazzi, successivamente, poterono identificare Ted Bundy dalle foto segnaletiche.

Poco dopo Bundy viene fermato alla guida di un'auto rubata e, dopo una colluttazione con un poliziotto, viene arrestato di nuovo. Tra il 1979 e il 1980 in Florida si tenne il processo - seguito con attenzione dai mass-media di tutto il mondo - che finirà con la condanna a morte di Bundy: ad incastrarlo definitivamente saranno i segni dei morsi lasciati sui corpi delle due ragazze uccise al Chi-Omega e la testimonianza di una studentessa che lo vide uscire dopo gli omicidi. La corte ritenne l'imputato colpevole di 36 omicidi, ma lui affermò sino al giorno dell'esecuzione di averne compiuti 26. Bundy usò le sue capacità persuasive per rimandare per tre volte la pena capitale.

La condanna a morte

Ted Bundy fu condannato a morte. Alla fine della lettura della sentenza di condanna, il giudice Edward Cowart si rivolse a Ted Bundy con le seguenti parole: "Si prenda cura di se stesso, figliolo. Glielo dico sul serio, si prenda cura di se stesso. È una tragedia per questa corte vedere una tale totale assenza di umanità come quella che ho visto in questo tribunale. Lei è un uomo giovane e brillante, avrebbe potuto essere un buon avvocato. Avrei voluto vederla in azione, ma lei si è presentato dalla parte sbagliata. Si prenda cura di lei. Non ho nessun malanimo contro di lei. Voglio solo che lo sappia. Si prenda cura di se stesso".[29].
Alle 7:06 del 24 gennaio 1989 Ted Bundy fu giustiziato sulla sedia elettrica; alle 7:16 ne fu dichiarato il decesso. Il corpo fu cremato e le ceneri disperse sulle Taylor Mountains. [30]

Modus operandi

La Volkswagen Maggiolino che Ted Bundy usava per intrappolare le sue vittime è ora esposta al National Museum of Crime & Punishment di Washington D.C.



La maggior parte delle sue vittime venne adescata nelle vicinanze di college o residenze universitarie, con la "tecnica" del braccio ingessato (chiedendo aiuto alla vittima per trasportare oggetti vari in macchina), resa poi famosa dall'attore che impersonò il maniaco scuoiatore "Buffalo Bill" nel film Il silenzio degli innocenti (ancora prima dal romanzo L'uovo d'oro di Tim Krabbé e dal thriller cult olandese da esso derivato Spoorloos, di George Sluizer). Una volta salita a bordo dell'auto di Bundy (un Volkswagen Maggiolino) la malcapitata ragazza si accorgeva, troppo tardi, che lo sportello dal lato del passeggero mancava della maniglia e della manovella per abbassare il finestrino; rimanendo dunque intrappolata all'interno dell'auto. Portata in un luogo isolato, veniva picchiata e uccisa tramite strangolamento o armi da contatto; il cadavere veniva talvolta stuprato, anche dopo che erano passati diversi giorni (e quindi era decomposto). Almeno 4 vittime furono decapitate dopo la morte.

In altri casi avvicinava la vittima spacciandosi per un poliziotto. In un'occasione si intrufolò nella camera di un dormitorio femminile e uccise a bastonate due studentesse e ne assalì una terza. Quasi tutte le vittime erano studentesse universitarie, minute e dai lunghi capelli scuri con la scriminatura centrale. Alcuni (ma la teoria non è universalmente accettata) hanno sostenuto che Bundy cercasse ragazze simili alla sua ex fidanzata, in una sorta di "punizione simbolica" per la donna che l'aveva respinto.[31]

Riferimenti culturali

A causa dell'efferatezza dei suoi delitti, la figura di Ted Bundy è stata più volte oggetto di riferimenti o citazioni in ambito musicale, cinematografico e letterario.

Musicali

  • Jonathan Davis, cantante e leader della nu-metal band Korn, è stato proprietario del maggiolino Volkswagen di Ted Bundy.
  • Lo pseudonimo di Brian Tutunick, primo bassista dei Marilyn Manson, è Olivia Newton Bundy: nome nato dall'unione di Ted Bundy e Olivia Newton-John, attrice e cantante.
  • Ted Bundy è il nome d'arte scelto da Marco Villa, rapper italiano e membro della Dogo Gang.
  • Debbie Harry, cantante dei Blondie, ha sostenuto di aver accettato un passaggio dal killer Ted Bundy negli anni settanta. È riuscita fortunatamente a fuggire, dopo essersi resa conto che lo sportello della vettura mancava della maniglia.
  • I Jane's Addiction, gruppo alternative rock di Los Angeles, nel loro primo album Nothing's Shocking, inserirono un brano chiamato Ted, Just Admit It..., in cui sono presenti delle frasi tratte da una sua dichiarazione. Nello stesso testo viene citata la stessa frase che dà il titolo all'album.
  • Tyler, The Creator scrive un testo su di lui, Blow. È la quinta traccia del primo album del cantante, Bastard.
  • Sven de Caluwé, cantante del gruppo Death Metal Aborted, lo cita all'inizio della canzone Meticulous Invagination, impersonificandolo.
  • La traccia White car nell'album del 1980 Drama degli Yes è probabilmente ispirata alla figura di Bundy.
  • Gli Skasico (gruppo Nu-Metal di Olbia in cui militava il rapper Salmo) hanno scritto una canzone intitolata "Ted Bundy" contenuta nell'album "Orange Bloom"
  • Bundy viene citato anche dal rapper Noyz Narcos nelle canzoni "Shaboo" e "Stato Brado".
  • Bundy è citato nella canzone di Eminem "Stay Wide Awake"
  • Ted Bundy viene citato nella traccia Vortice de Totip dei Bobby Joe Long's Friendship Party, e nella title track del loro secondo album Bundytismo.

Letterari

  • L'Oscar Mondadori Serial Killer - Storie di ossessione omicida di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi inizia proprio con la storia di Ted Bundy.
  • Nel romanzo di Bret Easton Ellis, American Psycho, il protagonista Patrick Bateman, psicopatico omicida, legge sempre biografie di Ted Bundy.
  • Ispiratore del personaggio protagonista del romanzo Il seduttore di Andrea H. Japp del 2004.
  • Protagonista del libro Un estraneo al mio fianco di Ann Rule, che parla della sua amicizia con Ted Bundy, poi rivelatosi un assassino seriale.

Cinematografici e televisivi