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sabato 25 maggio 2019

Film e storia : IL TRADITORE


 
 Il Traditore, il film di Marco Bellocchio, racconta il primo grande pentito di mafia, l'uomo che per primo consegnò le chiavi per avvicinarsi alla Piovra, cambiando così le sorti dei rapporti tra Stato e criminalità organizzata. Pierfrancesco Favino interpreta Tommaso Buscetta, il Boss dei due mondi, secondo una prospettiva inedita e mai studiata prima. All'inizio degli anni 80 è guerra tra le vecchie famiglie della mafia, Totò Riina e i Corleonesi. In palio c'è il controllo sul traffico di droga.
Alla festa di riconciliazione delle 'famiglie' Tommaso Buscetta sente il pericolo.
Decide di emigrare in Brasile per seguire i suoi traffici e allontanarsi dai Corleonesi che si accaniranno su due dei suoi figli e il fratello rimasti in Sicilia, e lui stesso è braccato anche in Brasile.
Ma prima della mafia è la polizia brasiliana ad arrestarlo. Ora ci sarà l'estradizione e la morte sicura in Italia. Ma il giudice Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi) gli offre un'alternativa: collaborare con la giustizia. Per il codice d'onore della mafia equivale a tradire.
Grazie alle sue rivelazioni viene istruito il Maxi-Processo con 475 imputati.
Le sentenze decimano la mafia, ma Totò Riina è ancora latitante.
La risposta è l'attentato a Falcone e alla sua scorta. Buscetta decide di fare nomi eccellenti della politica, è il testimone in numerosi processi e diventa sempre più popolare.
 
" Non sono i politici a comandare la Mafia ma viceversa".

" La Mafia non è solo crimine. Quello la polizia lo sa combattere bene. La Mafia è crimine, intelligenza e omertà".

Tommaso Buscetta nella deposizione del 1992 al processo (vedere video).
 
 
 
it.wikipedia.org

Tommaso Buscetta


Tommaso Buscetta, detto anche il boss dei due mondi[1] e don Masino[2] (Palermo, 13 luglio 1928New York, 2 aprile 2000), è stato un mafioso e collaboratore di giustizia italiano, membro di Cosa nostra.
È stato un esponente di massimo livello all'interno di Cosa nostra e, dopo l'arresto, collaboratore di giustizia durante le inchieste coordinate dal magistrato Giovanni Falcone; le sue rivelazioni permisero una ricostruzione giudiziaria dell'organizzazione e della struttura mafiosa siciliana.

Biografia

 

Gioventù


Tommaso Buscetta, durante un processo nel 1983.


Nato a Palermo il 13 luglio del 1928, in una famiglia poverissima (madre casalinga, padre vetraio), ultimo di 17 figli, si sposò a diciassette anni nel 1945 con Melchiorra Cavallaro dalla quale ebbe quattro figli: Felicia (nata nel 1946), Benedetto (nato nel 1948), Domenico e Antonio. Benedetto e Antonio furono vittime della lupara bianca nel corso della seconda guerra di mafia. Durante la sua vita, Buscetta ebbe tre mogli e otto figli.
Durante l'adolescenza, iniziò una serie di attività illegali nel mercato nero, come il furto di generi alimentari e la falsificazione delle tessere per il razionamento della farina, diffuse durante il ventennio fascista. Questa attività lo rese abbastanza celebre a Palermo, dove nonostante la giovanissima età venne soprannominato Don Masino.

 

Anni quaranta e cinquanta

Nel 1945 Buscetta venne affiliato alla cosca mafiosa di Porta Nuova. Nel 1949 si trasferì in Argentina e poi in Brasile, dove aprì una vetreria: gli scarsi risultati economici del suo nuovo lavoro lo costrinsero, nel 1956, a tornare a Palermo, dove si associò a Angelo La Barbera e a Salvatore "Cicchiteddu" Greco insieme ai mafiosi Antonino Sorci, Pietro Davì e Gaetano Badalamenti, con cui si occupò del contrabbando di sigarette e stupefacenti[3], diventando un pericoloso killer e gregario specialmente alle dipendenze di La Barbera[4]. Nel 1958 venne arrestato per contrabbando di sigarette e associazione a delinquere nel corso di un'indagine condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti del corso Pascal Molinelli e del tangerino Salomon Gozal, indicati come i maggiori fornitori di sigarette e stupefacenti alle cosche siciliane; nel gennaio 1959 venne nuovamente arrestato per il contrabbando di due tonnellate di sigarette al largo di Crotone, da dove si andava a rifornire in territorio iugoslavo[5][6].

 

Anni sessanta

Nel 1962, in seguito allo scoppio della cosiddetta "prima guerra di mafia", Buscetta si schierò dalla parte di Angelo La Barbera ma in seguito passò al gruppo di Salvatore "Cicchiteddu" Greco, tenendosi tuttavia nell'ombra per timore di essere soppresso[3]. Nel 1963 La Barbera riuscì a sopravvivere a un agguato a Milano, venendo però arrestato mentre era ricoverato in un ospedale: la polizia, basandosi soprattutto su fonti confidenziali e ricostruzioni indiziarie, sospettò fortemente Buscetta e il suo associato Gerlando Alberti di essere gli autori dell'agguato[7] e lo indicò come il principale killer e sodale dei boss Pietro Torretta e Michele Cavataio, sospettandolo insieme a loro anche per la strage di Ciaculli, in cui morirono sette uomini delle forze dell'ordine[8]: negli anni successivi Buscetta ammetterà di avere accettato l'incarico di uccidere La Barbera ma un altro gruppo di fuoco mafioso lo anticipò compiendo l'agguato[9]; per quanto riguarda la strage di Ciaculli e gli altri omicidi della prima guerra di mafia, sostenne che erano imputabili soltanto a Michele Cavataio e non a lui per via della sua amicizia con Salvatore "Cicchiteddu" Greco[10].
In seguito alla strage di Ciaculli era ricercato dalle forze dell'ordine e quindi fuggì in Svizzera, Messico, Canada e infine negli Stati Uniti, dove aprì una pizzeria con un prestito della Famiglia Gambino[11]. Intanto nel dicembre 1968 Buscetta venne condannato in contumacia a dieci anni di carcere per associazione a delinquere nel processo svoltosi a Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia e, nello stesso processo, venne assolto per insufficienza di prove per le imputazioni riguardanti la strage di Ciaculli[10][12].

 

Anni settanta

Nel 1970 Buscetta soggiornò sotto falso nome a Zurigo, Milano e Catania per partecipare ad alcuni incontri insieme a Salvatore Greco per discutere sulla ricostruzione della "Commissione" e sull'implicazione dei mafiosi siciliani nel Golpe Borghese[13][14]. Nello stesso periodo venne arrestato a Brooklyn e rilasciato subito dietro pagamento di una cauzione di 40.000 dollari[15][16]: dopo il rilascio, lasciò gli Stati Uniti e si trasferì in Brasile, da dove inviò eroina e cocaina in Nordamerica, creando in pochi anni un sistema di aerei per poterla trasportare e inoltre costituì una compagnia di tassisti per poter reinvestire il denaro frutto del traffico di stupefacenti[17] (Buscetta ha, però, sempre smentito con forza di aver mai trafficato droga in tutta la sua vita). Per dieci anni riuscì a eludere la legge, utilizzando false identità (Manuel López Cadena, Adalberto Barbieri e Paulo Roberto Felice), sottoponendosi anche a un'operazione di chirurgia plastica[1], e spostandosi da paese a paese, passando per gli Stati Uniti d'America, il Brasile e il Messico.
Arrestato dalla polizia brasiliana il 2 novembre del 1972 e successivamente estradato in Italia, venne rinchiuso nel carcere dell'Ucciardone e condannato a dieci anni di reclusione, ridotti a otto in appello, per traffico di stupefacenti. Nel suo deposito blindato in Brasile, le autorità trovarono eroina pura per un valore di 25 miliardi di lire dell'epoca[18].

 

Anni ottanta

Trasferito nel carcere piemontese delle Nuove nel 1980, riuscì ad evadere quando gli venne concessa la semilibertà e si nascose nella villa dell'esattore Nino Salvo, sotto la protezione dei boss Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo, che lo volevano convincere a schierarsi dalla loro parte per uccidere il loro avversario Salvatore Riina[19][20]. Tuttavia nel gennaio 1981 Buscetta preferì fare ritorno in Brasile per estraniarsi dalla vicenda e si sottopose a un nuovo intervento di chirurgia plastica oltre che a un intervento per modificare la voce[18].

Tommaso Buscetta il 15 luglio 1984 all'aeroporto di Roma.


Durante la seconda guerra di mafia, lo schieramento vincente dei Corleonesi, guidato da Riina, decise di eliminare Buscetta perché strettamente legato a Bontate, Inzerillo e Badalamenti; ma, a causa dell'impossibilità di eliminarlo perché si trovava in Brasile, attuarono vendette trasversali contro i suoi parenti: tra il 1982 e il 1984 i due figli di Buscetta scomparvero per non essere mai più ritrovati[21] e inoltre gli vennero uccisi un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti[21]. Alla fine della guerra i parenti morti saranno undici[22]. Dopo gli omicidi dei suoi familiari, Buscetta era intenzionato a uccidere il suo capofamiglia Pippo Calò, che aveva fatto causa comune con i Corleonesi, e per questo avviò una corrispondenza con il suo associato Gerlando Alberti (all'epoca detenuto) perché cercava appoggi per poter tornare a Palermo; però Alberti rimase vittima di un tentato omicidio in carcere e quindi il piano fallì[23].
Il 23 ottobre 1983 quaranta poliziotti circondarono la sua abitazione a San Paolo e lo arrestarono mentre era in compagnia di Leonardo Badalamenti, figlio del boss Gaetano[24]. A nulla valse un tentativo di corruzione operato dallo stesso Buscetta[18], che venne rinchiuso in prigione per alcuni omicidi collegati con lo spaccio di droga[18]. Nel 1984 i giudici Giovanni Falcone e Vincenzo Geraci si recarono da lui invitandolo a collaborare con la giustizia, ma inizialmente rifiutò. Lo Stato italiano ne chiese allora l'estradizione alle autorità brasiliane. Quando questa venne concessa[25], per evitarla, tentò il suicidio ingerendo della stricnina[26]. Salvato, arrivò in Italia dove decise di collaborare, cominciando a rivelare organigrammi e piani della mafia al giudice Falcone[27]. Viene per questo considerato uno dei primi collaboratori della storia, dopo Leonardo Vitale[28]. Egli non condivideva più quella che era la nuova Cosa nostra, poiché sosteneva che essa stessa aveva perso la sua identità[29].
Grazie alla sua collaborazione, i magistrati hanno capito e conosciuto il sistema di Cosa Nostra[30], alla base del quale vi erano i soldati scelti dalla famiglia, sopra di essi i capi decina, scelti dal capo della famiglia, sopra ancora vi erano i consiglieri e il sottocapo, e infine il capo famiglia. Tuttavia Buscetta rifiutò di parlare con il giudice Falcone dei legami politici di Cosa Nostra perché, secondo il suo parere, «lo Stato non era pronto» per dichiarazioni di quella portata e si dimostrò abbastanza generico su quell'argomento[31].
Nel 1984 venne estradato negli Stati Uniti ricevendo dal governo una nuova identità, la cittadinanza e la libertà vigilata in cambio di nuove rivelazioni contro Cosa nostra americana[32][33], testimoniando nel 1986 al Maxiprocesso di Palermo (scaturito dalle dichiarazioni rese a Falcone)[34] e nel processo "Pizza connection", che si svolse a New York e vide imputati Gaetano Badalamenti e altri mafiosi siculo-americani accusati di traffico di stupefacenti[35].

 

Anni novanta

Nell'estate del 1992, in seguito agli attentati in cui morirono Falcone e Borsellino, Buscetta iniziò a parlare con i magistrati dei legami politici di Cosa Nostra, accusando gli onorevoli Salvo Lima (ucciso qualche mese prima) e Giulio Andreotti di essere i principali referenti politici dell'organizzazione; in particolare riferì di aver conosciuto personalmente Lima fin dalla fine degli anni cinquanta e di averlo incontrato l'ultima volta nel 1980 durante la sua latitanza e riferì inoltre di aver saputo che l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli (1979) sarebbe stato compiuto nell'interesse di Giulio Andreotti[36][37]: per via di queste sue dichiarazioni fu uno dei principali testimoni dei processi a carico di Andreotti per associazione mafiosa e per l'omicidio Pecorelli[38]. Andreotti verrà assolto dall'accusa di aver commissionato l'assassinio di Pecorelli, mentre verrà accertata la sua connivenza con la mafia per fatti anteriori al 1980, prescritti al momento dell'emissione della sentenza. Nel marzo 1995 suo nipote Domenico venne ucciso dal boss Leoluca Bagarella, che tre mesi dopo sarebbe stato arrestato.
Dopo aver fatto parlare di sé per una crociera nel Mediterraneo[39], morì di cancro nel 2000 all'età di 71 anni[40], non prima di aver manifestato, in un libro-intervista di Saverio Lodato (ed. Mondadori, 1999), il suo disappunto per la mancata distruzione di Cosa Nostra da parte dello Stato italiano[41].

 

Vita privata

Buscetta si sposò tre volte e ebbe sei figli. Ad un certo punto fu sospeso dalla mafia per aver lasciato la sua prima moglie. L'adulterio era infatti considerato un grave reato. Durante un processo nel 1993 Salvatore Cancemi confessò a Buscetta di aver strangolato a morte due dei suoi figli, Buscetta lo perdonò, dicendo che sapeva che non avrebbe potuto rifiutare l'ordine.
In un'intervista con il giornalista Enzo Biagi, affermò di aver perso la verginità a otto anni con una prostituta che gli fece pagare solo una bottiglia di olio d'oliva. Disse anche che Luciano Liggio, contro ogni regola, fece affiliare Peppuccio Di Girolamo dentro la potentissima famiglia dei Piromalli in Calabria. Infatti, don Masino ebbe a lamentarsi in Commissione che Liggio aveva osato sottrargli un valoroso ragazzo appartenente al proprio territorio affiliandolo alla "ndrangheta".

Nella cultura di massa



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