È il 1940,
la guerra è alle porte, in gennaio comincia la distribuzione delle
tessere annonarie per ricevere i prodotti di consumo razionati. Il
regime emana il divieto di ballare in pubblico, i locali notturni
vengono chiusi, la musica americana proibita, a cominciare dal jazz.
Nelle sale cinematografiche spopolano i film musicali nei quali vengono
lanciate canzoni ancora oggi note. In tutte le case risuona la voce di Beniamino Gigli che
canta "Mamma" di Guido Brignone. Addio Lucky Stricke, addio Marlboro,
addio Camel e Chesterfield. Con la tessera si possono acquistare solo
sigarette italiane e tedesche.
Però c’è ancora tempo per un ultimo sussulto sportivo prima del grande botto. Si corre il XXVIII Giro d’Italia. Un ragazzo smilzo, timido, di appena vent’anni, con un fisico all’apparenza gracile, con un naso troppo grande e poco aerodinamico è alla testa del gruppo variopinto. La sua maglia biancoceleste e la sua Bianchi sfidano i grandi campioni. Fausto Coppi da Castellania, classe 1919, vincerà al suo esordio il Giro d’Italia. È l’inizio di una grande storia sportiva ed umana che segnerà un intero periodo del Bel Paese. Il suo destino è scritto. Fausto Coppi è un campione, anzi è il "campionissimo". La miracolosa agilità della sua pedalata farà di lui il corridore più grande di ogni tempo. Nemmeno cinque anni di interruzione a causa della guerra riusciranno a fermarlo. Dopo il Giro del ’40, verranno quelli del ’47, ’49, ’52 e ’53. Vincerà due Tour de France, cinque Giri di Lombardia, tre Milano-Sanremo, un Mondiale e stabilirà anche il record dell’ora.
Finita la guerra l’Italia sogna la ricostruzione e i dollari del piano Marshall, l’accoppiata De Sica-Zavattini fa commuovere gli Italiani con "Sciuscià" e "Ladri di biciclette", la voce di Mario Ferretti racconta l’infinita sfida sportiva tra Coppi e Bartali che ancora oggi divide gli sportivi. Già il Ginettaccio toscano. Con quel «naso triste come una salita e quegli occhi allegri da italiano in gita», Gino Bartali è l’antagonista principale del grande Fausto.
I due campioni sono uno l’opposto dell’altro per carattere, per stile e soprattutto per pedalata. Manlio Cancogni, cronista dell’epoca e tifoso di Bartali, così descrive una delle tante sfide tra i due ciclisti: «…l’apparizione di Coppi ci aveva tolto il fiato. Togliere il fiato è un modo di dire convenzionale; ma nel caso rispondeva perfettamente alla realtà. Vedendo avanzare quella sagoma potente, avevo provato un vuoto allo stomaco, e come se una mano estranea avesse sospeso le mie facoltà vitali. Sono impressioni come questa che creano la passione sportiva, e, nella gente d’animo semplice, il fanatismo per il personaggio che ne è la causa… Gli inseguitori, quando arrivarono, mi fecero un’impressione pietosa…la muta di cani arrancava agli ordini di Bartali che ora strepitava come un ossesso lanciando i suoi uomini sulle tracce del fuggitivo. Bartali non era affatto bello a vedersi. Sotto i colpi scomposti delle sue gambe storte e muscolose, la bicicletta sussultava e pareva spezzarsi. I suoi strilli ferivano l’udito».
La corsa del "campionissimo" termina il 2 gennaio del 1960 alle 8 e 45 all’ospedale di Tortona, in seguito ad un’ infezione malarica probabilmente contratta nell’Alto Volta durante una battuta di caccia.
(foto: Coppi e Bartali © 2000 Omega Fotocronache)
Però c’è ancora tempo per un ultimo sussulto sportivo prima del grande botto. Si corre il XXVIII Giro d’Italia. Un ragazzo smilzo, timido, di appena vent’anni, con un fisico all’apparenza gracile, con un naso troppo grande e poco aerodinamico è alla testa del gruppo variopinto. La sua maglia biancoceleste e la sua Bianchi sfidano i grandi campioni. Fausto Coppi da Castellania, classe 1919, vincerà al suo esordio il Giro d’Italia. È l’inizio di una grande storia sportiva ed umana che segnerà un intero periodo del Bel Paese. Il suo destino è scritto. Fausto Coppi è un campione, anzi è il "campionissimo". La miracolosa agilità della sua pedalata farà di lui il corridore più grande di ogni tempo. Nemmeno cinque anni di interruzione a causa della guerra riusciranno a fermarlo. Dopo il Giro del ’40, verranno quelli del ’47, ’49, ’52 e ’53. Vincerà due Tour de France, cinque Giri di Lombardia, tre Milano-Sanremo, un Mondiale e stabilirà anche il record dell’ora.
Finita la guerra l’Italia sogna la ricostruzione e i dollari del piano Marshall, l’accoppiata De Sica-Zavattini fa commuovere gli Italiani con "Sciuscià" e "Ladri di biciclette", la voce di Mario Ferretti racconta l’infinita sfida sportiva tra Coppi e Bartali che ancora oggi divide gli sportivi. Già il Ginettaccio toscano. Con quel «naso triste come una salita e quegli occhi allegri da italiano in gita», Gino Bartali è l’antagonista principale del grande Fausto.
I due campioni sono uno l’opposto dell’altro per carattere, per stile e soprattutto per pedalata. Manlio Cancogni, cronista dell’epoca e tifoso di Bartali, così descrive una delle tante sfide tra i due ciclisti: «…l’apparizione di Coppi ci aveva tolto il fiato. Togliere il fiato è un modo di dire convenzionale; ma nel caso rispondeva perfettamente alla realtà. Vedendo avanzare quella sagoma potente, avevo provato un vuoto allo stomaco, e come se una mano estranea avesse sospeso le mie facoltà vitali. Sono impressioni come questa che creano la passione sportiva, e, nella gente d’animo semplice, il fanatismo per il personaggio che ne è la causa… Gli inseguitori, quando arrivarono, mi fecero un’impressione pietosa…la muta di cani arrancava agli ordini di Bartali che ora strepitava come un ossesso lanciando i suoi uomini sulle tracce del fuggitivo. Bartali non era affatto bello a vedersi. Sotto i colpi scomposti delle sue gambe storte e muscolose, la bicicletta sussultava e pareva spezzarsi. I suoi strilli ferivano l’udito».
La corsa del "campionissimo" termina il 2 gennaio del 1960 alle 8 e 45 all’ospedale di Tortona, in seguito ad un’ infezione malarica probabilmente contratta nell’Alto Volta durante una battuta di caccia.
(foto: Coppi e Bartali © 2000 Omega Fotocronache)
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