La prima missione giapponese in Italia
Benché nel XIII secolo Marco Polo fosse già venuto a conoscenza dell’esistenza del Giappone (nel suo Milione lo chiamò Cipango), il primo vero contatto con il Sol Levante avvenne nel 1542, quando nel Paese asiatico approdò la prima nave europea insieme ai primi gesuiti portoghesi e italiani. La prima missione giapponese in terra straniera partì invece a distanza di quarant’anni. La delegazione, passata alla storia come ambasciata Tenshō, giunse in Italia tre anni dopo e fu ricevuta a Roma da Papa Gregorio XIII e dal suo successore Papa Sisto V, il quale fece loro dono della Chiesa di Santa Maria dell’Orto che, da allora, rappresenta il luogo di culto di riferimento per la comunità cattolica giapponese della capitale italiana.
La delegazione partì dal porto di Nagasaki il 20 febbraio 1582, quando i quattro ragazzi non avevano ancora compiuto quindici anni[11]. Valignano, che avrebbe voluto accompagnarli fino in Europa e tornare con essi in Giappone[5], fu costretto a fermarsi a Goa perché nominato provinciale delle Indie, delegando di conseguenza la loro tutela al padre Nunzio Rodriguez[12]. La missione arrivò in Portogallo due anni dopo, passando per le colonie Macau e Goa[13] prima di sbarcare a Lisbona l'11 agosto del 1584, dove fu accolta dalla nobiltà locale[14]. Nel Paese lusitano gli ambasciatori ebbero modo inoltre di visitare la Chiesa di San Rocco e il Monastero dos Jerónimos, oltre a fare tappa in città quali Sintra ed Évora[13]. Da lì proseguirono verso la Spagna, dove furono ricevuti da re Filippo II in quel di Madrid. A quest'ultimo vennero consegnate due lettere in lingua spagnola firmate da Ōtomo, Ōmura e Arima, all'interno delle quali i tre daimyō offrivano completa obbedienza al sovrano[15].
L'ambasceria giapponese viene ricevuta da Papa Gregorio XIII. Dipinto del 1655.
Circa un anno più tardi gli inviati raggiunsero l'Italia, sbarcando a Livorno il 1º marzo 1585.
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