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sabato 17 agosto 2019

Leonardo da Vinci progettò la difesa contro una eventuale invasione dei Turchi?


Leonardo da Vinci, Autoritratto (Biblioteca Reale Torino)
Leonardo da Vinci, Autoritratto 
(Biblioteca Reale Torino)
 
 
 
Anche se non ci sono prove, Leonardo potrebbe avere progettato difese contro l'eventuale offensiva turca, compreso lo scafandro da palombaro per potersi immergere sott'àcqua e perforare le navi nemiche facendole affondare.
 
 
venicecafe.it

Leonardo a Venezia nel 1500 - Venice Café

Roberto Camatti



Posted by on Mar 28, 2019 in ARTE, Pittura

La Repubblica veneta aveva stretto d’assedio il ducato milanese, alleandosi con Luigi XII, nel momento cruciale dell’invasione francese, considerato che Lodovico il Moro aveva poco prima scatenato i Turchi contro Venezia. A seguito della caduta degli Sforza, il re di Francia Luigi XII fece il suo ingresso a Milano il 6 ottobre 1499 accompagnato da Cesare Borgia, duca di Valentinois, detto il Valentino (P. Pieri, 1952, p. 376 e sgg.).
Nel dicembre 1499 Leonardo lasciò Milano, dopo avervi soggiornato per quasi venti anni, con fra Luca Pacioli ed altri artisti e dotti, che si erano raccolti intorno a Lodovico il Moro.
Nel viaggio di ritorno verso Firenze, Leonardo riparò prima a Mantova dove lo attendeva già da tempo la colta marchesa Isabella d’Este, la quale, appena un anno prima, alla vista del magnifico ritratto della Dama con l’ermellino aveva ragionato con la stessa Cecilia Gallerani sul “paragone” con i ritratti di Giovanni Bellini (Beltrami 1919, doc. 88). Naturalmente anche la marchesa richiese all’artista di essere ritratta e a testimonianza di ciò ci rimane il bellissimo cartone, conservato al Museo del Louvre di Parigi, che mostra la nobildonna di profilo. Non si sa quali altre opere avesse con sé, ma indubbiamente dovevano abbondare i manoscritti e i disegni. Poi Leonardo proseguì con i suoi allievi e l’amico Pacioli verso Venezia.



Testimonianze della presenza di Leonardo a Venezia

Della sua presenza nella città lagunare nel 1500 Leonardo ha lasciato nelle sue carte un solo minuscolo ricordo, quello dei tre ducati ivi consegnati in prestito a Gian Giacomo Caprotti, detto Salai, suo allievo.
“Ricordo come a dì 8 d’aprile 1503 io Leonardo da Vinci prestai a Vante miniatore ducati 4 d’oro in oro […] Ricordo come nel sopradetto giorno io rendei a Salai ducati 3 d’oro, i quali disse volersene fare un paio di calze rosate co’ sua fornimenti, e li restai a dare ducati 9, posto che lui ne de’ dare a me ducati 20, cioè 17 prestaili a Milano e 3 a Vinegia […]”.
(Londra, British Museum, Ms. Arundel, f. 229 verso, cfr. Richter, 1883, vol. Il, p. 457, paragrafo 1525)
Marin Sanudo il Giovane, che ha scritto nei suoi Diarii resoconti estremamente dettagliati di avvenimenti della città di Venezia dal 1496 al 1533, non ricorda affatto la presenza del famoso autore del Cenacolo.
La visita non viene neppure menzionata dal Vasari che, già nella seconda edizione delle Vite, risalente al 1568, metteva in risalto l’apporto essenziale di Leonardo nella formazione della “maniera moderna” di Giorgione e, di conseguenza, anche l’influsso che l’artista esercitò nell’ambito della rivoluzione stilistica destinata a trasformare l’intera pittura veneziana del sedicesimo secolo.
Humfrey acutamente sottolinea che:
Le ragioni di questa parziale negligenza sono abbastanza ovvie: purtroppo poco si sa delle circostanze in cui si svolse la visita nel marzo del 1500, o di altri possibili viaggi di Leonardo nella laguna; non si conoscono con certezza sue opere là realizzate in una data precedente; tra l’opera di Leonardo e quella di Giorgione, o di altri pittori veneziani, le influenze non sono mai così letterali da poter essere riconosciute in modo infallibile.
(Humfrey, 1992, p. 37)
La presenza di Leonardo nella città lagunare è brevemente ricordata da fra Luca Pacioli nella sua edizione degli Elementa di Euclide, stampati per l’appunto a Venezia nel 1509, dove il frate lo rammenta insieme ad altri personaggi, nonché nella sua edizione a stampa della Divina proportione, anch’essa edita a Venezia nel 1509. Si può affermare che il Pacioli fosse ben informato sugli spostamenti e sulle attività di Leonardo considerato che lo aveva accompagnato, in partenza da Milano alla fine del 1499, a Mantova e a Venezia (Pedretti, 19782, pp. 84-85; Pedretti, 1982, pp. 12-15 e 24) e sembra che lo stesso sia stato notiziato anche dopo essersi separato dall’artista.
Un’ulteriore testimonianza è riportata nella famosa lettera del liutaio Lorenzo Gusnasco da Pavia diretta il 13 marzo 1500 a Isabella d’Este – conservata presso l’Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, busta 1439 – nella quale la marchesa viene informata che: “E lè a Venecia Lionardo Vinci, el quale m’à mostrato uno retrato de la S.V. che è molto naturale a quella. Sta tanto ben fato, non è possibile melio” (Baschet, 1867, pp. 70-75)
L’unico dipinto al quale sappiamo che l’artista stesse allora lavorando è andato perduto oppure non fu mai portato a termine.
Marani afferma che:
Appare certo, invece, data l’esistenza di questa sola testimonianza sulla presenza di un’opera “artistica” di Leonardo a Venezia a riscontro di una serie veramente cospicua di documenti scritti e figurati di tutt’altro genere, che la breve visita di Leonardo a Venezia e nella regione veneta fu finalizzata ad altri scopi.”
(Marani, 1992, p. 24)
Leonardo da Vinci, Dodecaedro stellato
Leonardo da Vinci, Dodecaedro stellato

Motivazioni sulla visita a Venezia

La visita di Leonardo a Venezia potrebbe aver avuto due motivazioni principali: la  prima congetturale proposta solo da Marani, l’altra basata sull’esame della documentazione scritta lasciata dallo stesso da Vinci.
Marani (1992, p. 24) ipotizza che il motivo del viaggio a Venezia avrebbe potuto risiedere in una ragione comune tra Leonardo e fra Pacioli: prendere accordi per la stampa del manoscritto del Divina proportione, per il quale l’autore del Cenacolo aveva realizzato delle brillanti illustrazioni con viste prospettiche.
Nell’ultimo decennio del Quattrocento, come dimostra il Codice 8937 della Biblioteca Nacional di Madrid,
Leonardo si era interessato a procedimenti meccanici per riprodurre i suoi disegni.  L’artista-ingegnere aveva anche studiato un sistema meccanico per poter stampare simultaneamente testi e immagini (Reti, 1974, pp. 264-287 e figg. 272/1-2-3 a p. 272). Quindi è probabile che egli stesse pensando, di dare alle stampe qualcuno dei suoi “trattati”, in particolare quello sugli “elementi macchinali” di cui il codice di Madrid sembra fornire alcuni esempi di impaginazione.
Nel corso dello scorso secolo molti sono gli studiosi che hanno cercato di motivare la presenza di Leonardo a Venezia rileggendo i documenti del periodo a cavallo del 1500.
Solmi (1976) ha sostenuto la tesi che Leonardo avesse ricevuto un incarico segreto dalla Serenissima per distruggere la flotta turca e liberare i prigionieri veneziani dopo la sconfitta dell’ottobre 1499 nella battaglia navale del Zonchio e la perdita del porto di Morone.
Calvi (1982) ha smentito la proposta di Solmi perché ha dimostrato che era basata su una lettura erronea di documenti del periodo milanese, precedenti ai fatti. In particolare le pagine con i disegni del palombaro e del sottomarino, secondo Calvi sono progetti del da Vinci legati all’espansione del ducato di Milano in Liguria che risalirebbero al più tardi al 1487.
Quello che Leonardo  ha certamente fatto, quando nel marzo 1500 era a Venezia, è stato recarsi a Gradisca nel Friuli, ai confini dei territori della Serenissima (Bordonali, 2007, p. 120)
Nel foglio 215 recto del Codice Atlantico si trova un ricordo di suoi progetti, nota databile verso il 1515-16, eseguiti al tempo della sua visita del 1500 nella città lagunare.
Leonardo scrive: “Bombarde da Lion a Vinegia col modo ch’io detti a Gradisca in Frigoli e in Ovinhie [?]” e sembra alludere ad un sistema di trasporto di pezzi d’artiglieria approntato per Gradisca, confermando così il suo coinvolgimento in questioni strategico-ingegneresche.
LEONARDO DA VINCI, studi per il cavallo dedicato a Francesco Sforza
LEONARDO DA VINCI, studi per il cavallo dedicato a Francesco Sforza
L’annotazione è stata oggetto di diverse interpretazioni circa l’ultima località indicata (Udine, Avignone?), ma secondo Marani (1992, p. 20) è la testimonianza del coinvolgimento di Leonardo con la spedizione in Italia di Francesco I re di Francia del 1515 (cfr. Pedretti,  19781, p. 113; Marani 1984, pp. 47, 83, nota 180).
Solmi ha segnalato che nel foglio 638 a verso del Codice Atlantico si evince il progetto di “dighe mobili” sull’Isonzo, per fermare i turchi che via terra si erano ripetutamente spinti fin dentro i territori della Serenissima passando per il Friuli (Solmi, 1976, pp. 507-509). Dalla lettura del manoscritto, riprodotto in sequenza e discusso da Marani  (1984, p. 216) si deduce che Leonardo stesse pensando ad un sistema di palificazioni appuntite da collocare nel letto del fiume Isonzo. Nello stesso foglio sono presenti  due abbozzi di lettera che iniziano con “Illustrissimi signori mia… ” (C. Atl. f. 638 a v) e trattano della questione. Gli studiosi non hanno ancora fatto luce sull’“enigmatico ruolo svolto da Leonardo” in questa vicenda (Concina, 2006, pp. 47-53). Non è chiaro se si tratta di una relazione per il Senato veneziano, o quantomeno per un gruppo di incaricati a valutare possibili soluzioni. Solmi indica che Leonardo a Venezia tenne rapporti con la cerchia dei Grimani, considerato che  egli annota il nome di “Stephano Jligi Canonico di Dulcegno. F. familiar del R.mo Car. Grimani a Sant’apostolo” (Man. British Museum, f. 274 B).
Marani (1992, p.26) invece ipotizza che:
I manoscritti e i pochi disegni superstiti di Leonardo, che di questi cruciali mesi si conservano, potrebbero essere presi a dimostrare che Leonardo dovette essere incaricato, o dal re di Francia, o dal conte di Ligny o, infine, dal duca Valentino, di compiere ispezioni militari nel Veneto e, forse, di conseguenza, di suggerire alla Repubblica veneziana quali misure adottare per difendersi dai Turchi”.
L’incertezza che perdura tutt’oggi è dovuta dal fatto che le ricerche negli archivi ufficiali non hanno prodotto nessun documento attestante un incarico dato a Leonardo o una discussione sul suo progetto.

Autore articolo: Roberto Camatti
Autore articolo: Roberto Camatti
Roberto Camatti, laureato in economia e commercio, è l’ideatore e il direttore del sito www.venicecafe.it. E’ appassionato di curiosità veneziane e d’arte contemporanea. Vive e lavora a Venezia. 


 
ricerca.gelocal.it

Così Leonardo scoprì Giotto e la Serenissima - la Nuova di Venezia


di Elena Livieri 

Uuna delle personalità più complesse e geniali che la storia ci ha consegnato, quella di Leonardo Da Vinci, che fu architetto, poeta, ingegnere, inventore, musicista, scrittore, medico, botanico, scultore, scenografo, pittore, è stata indagata dallo storico dell'arte Costantino D'Orazio nel suo ultimo libro "Leonardo segreto", che sarà presentato oggi alle 18 alla libreria Feltrinelli di Padova e domani, alla stessa ora, a Treviso. Un excursus, quello di D'Orazio, che tocca molti ma non tutti gli ambiti sperimentati dall'artista, cui l'Expo 2015 dedicherà una grande mostra. Tra i misteri che lo storico svela nelle sue pagine emergono i retroscena del periodo che Leonardo ha trascorso in Veneto, in particolare a Venezia e Padova, all'inizio del '500. L'artista lascia Milano quando stanno per rientrare gli Sforza che non gli avrebbero perdonato di aver lavorato per i Francesi. È l'inizio dell'anno 1.500 quando Leonardo arriva a Venezia, dove il governo della Serenissima lo aveva convocato nella sua veste di ingegnere militare. Venezia è sotto la minaccia dei Turchi che sono già penetrati in Friuli. Ed è lì che viene inviato l'ingegnere, sulle rive dell'Isonzo, per studiare un sistema di fortificazioni per fermare l'avanzata turca. Leonardo riempie taccuini di disegni e progetti giungendo alla conclusione che sia inutile affidarsi alle grandi opere illudendosi di fermare la forza della natura. Meglio l'ingegno. Così, agli albori del sedicesimo secolo, viene realizzato sull'Isonzo quello che oggi potrebbe essere definito l'antesignano del Mose, un sistema di dighe mobili per regolare i livelli del fiume: l'opera è descritta nei dettagli in una lettera che Leonardo invia al Doge. Tornato a Venezia, l'artista apre uno studio: frequenta il tipografo Aldo Vanuzio e la sua cerchia perché sta pensando di stampare i suoi trattati, quello sull'anatomia in particolare. Ecco perché ha portato con sè, da Milano, il disegno dell'Uomo Vitruviano (oggi conservato nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia): doveva essere la copertina del trattato che, tuttavia, non sarà mai completato. Nel suo studio veneziano riceve la visita di Lorenzo Guzzago, emissario di Isabella d'Este che da Leonardo vuole un ritratto: secondo le ricerche del professor D'Orazio, pare che l'artista abbia iniziato il dipinto anche se non ne è stata trovata traccia. E a Venezia Da Vinci incontra Giorgione che rimarrà fortemente influenzato dalla sua mano che ricorderà "molto fumeggiante e terribilmente oscura". Anche Padova ha lasciato un'impronta, e nemmeno secondaria, sulle opere di Leonardo il quale, durante il suo soggiorno in Veneto, visita la Cappella degli Scrovegni: ed è dagli affreschi di Giotto che "ruba" i volti, capaci di svelare quelle "espressioni dei moti dell'animo" che ritroveremo, per esempio, nel dipinto della "Battaglia di Anghiari", realizzato nel 1504 a Firenze e, ancora, nel dipinto "Madonna con Sant'Anna e bambino" dove per la prima volta Leonardo usa anche il blu giottesco, che risalta nel morbido panneggio che avvolge la figura in primo piano. Leonardo è questo e molto altro: quello che emerge dall'indagine di D'Orazio è il ritratto di un genio disordinato più che un artista, uno studioso che incontra l'arte quasi come un incidente di percorso, che sa darsi un metodo scientifico solo nella ricerca storica. Che lascia la maggior parte delle sue opere incompiute perché, è l'ipotesi cui giunge l'autore di "Leonardo segreto", troppo straordinariamente avanzate per il suo tempo e rifiutate dagli stessi committenti.




 

Scafandro per palombaro

Oggetti simili a Scafandro
Categoria principale Industria Manifattura e Artigianato
Ambito culturalemanifattura italiana
InventoreTursini Luigi
Periodometà sec. XX
Anni1952 - 1953
Numero inventario414
Collocazionepiano terra, sala dei chiostri
Altezza194 cm
Larghezza60 cm
Profondità40 cm
Peso10 kg
Materialijuta, legno, plastica, vetro
Acquisizione Comitato Nazionale per le Celebrazioni Leonardesche

Descrizione

Il modello rappresenta uno scafandro in cuoio corredato di manichette di respirazione.

Funzione

Il palombaro poteva lavorare sott'acqua a scopi militari, come il sabotaggio delle navi nemiche.

Modalità d'uso

Lo scafandro è composto da: giubbone, calzoni, maschera con occhiali di vetro. Il rigonfiamento della giubba, destinato a contenere in un otre la riserva d'aria, è sostenuto da una struttura di cerchi di ferro. Con la convinzione che questa riserva potesse durare a lungo, Leonardo aveva previsto per il palombaro anche un piccolo otre per orinare, un sacco di pelle ermeticamente chiuso e fornito di una valvola, da utilizzare gonfiato o sgonfiato per la salita o la discesa subacquea e inoltre, sacchi di sabbia come zavorra, una lunga corda, un coltello e un corno per segnalare la fine delle operazioni. Le manichette per la respirazione in canna unite con giunti di cuoio; una spirale di acciaio inserita nei giunti ne impedisce lo schiacciamento determinato dalla pressione dell'acqua: uscivano in superficie ed erano sostenute e protette da uno speciale sistema galleggiante.

Notizie storico-critiche

Il foglio ha come tema principale una serie di azioni militari progettate contro la flotta nemica, probabilmente quella turca. Le azioni e gli strumenti da guerra sono affidati all'opera del palombaro.

Riferimenti Bibliografici:

  • Scienza Tecnica ''Scienza e Tecnica di Leonardo / Artiglieria-Genio-Marina-Aeronautica'' 1952 Roma
  • Sutera S. ''Leonardo / le fantastiche macchine di Leonardo da Vinci al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano /disegni e modelli'' 2001 Milano
  • Leonardo da Vinci ''Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano'' 1979 Firenze
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Immagini

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Ne vogliono ribuscare : in ricordo della battaglia di Lepanto (7 Ottobre 1571)

Significato di buscare :
 http://curiositadifirenze.blogspot.com/2016/07/modi-di-dire-tu-ne-buschi.html


La Battaglia di Lepanto, nel golfo di Patrasso, fu lo scontro decisivo tra la flotta cristiana e quella turca. Il 20 maggio del 1571 Papa Pio V creò la Lega Santa alla quale parteciparono oltre allo Stato Pontificio, Venezia, Genova, la Spagna, i Savoia e Malta - la flotta cristiana era formata da circa 200 galere di cui oltre la metà erano veneziane, con al comando il Capitano da Mar Sebastiano Venier, la flotta turca ne aveva circa 250. La prima linea della flotta cristiana era formata da galeazze mercantili veneziane trasformate per l'occasione in navi da guerra, ma quello che i turchi non sapevano era che erano state armate di cannoni non solo a prua, come tutte le normali galee, ma anche sui fianchi e a poppa. La mattina del 7 ottobre avvenne lo scontro, le galeazze veneziane in prima fila stavano molto distanziate tra loro e i turchi lo interpretarono come un errore tattico e attaccarono subito infilandosi con gran parte della loro flotta tra la galeazze veneziane. Appena giunsero all'altezza delle navi queste distribuirono una tale potenza di fuoco dai fianchi che la flotta turca venne subito quasi dimezzata, non ebbero tempo di capire cosa fosse successo che il resto della flotta cristiana attaccò e la vittoria fu piuttosto rapida, anche perché i veneziani attaccarono e affondarono la galeotta dell'ammiraglio responsabile di tutta la potenza turca, Alì Pascià, uccidendolo. La flotta turca fu quasi completamente distrutta, mentre quella cristiana subì, tutto sommato, poche perdite. La gioia per la vittoria fu enorme e si festeggiò in tutta Europa -- naturalmente il Papa non poteva certo ammettere che il merito della vittoria fosse per lo più dei veneziani, così proclamò che era stato grazie alla Madonna del Rosario (che si festeggia appunto il 7 ottobre

 https://www.youtube.com/watch?v=vsxu4IjhI6w

domenica 4 agosto 2019

Festeggiamenti Francesco Ferrucci (1489 - 1530) - Gavinana (PT)


it.wikipedia.org

Francesco Ferrucci


Uffizi 16, Francesco Ferrucci.JPG
Statua rappresentante Francesco Ferrucci, nel loggiato degli Uffizi
 
 
14 agosto 1489 – 3 agosto 1530
Nato aFirenze
Morto aGavinana
Dati militari
Paese servitoRepubblica Fiorentina
Anni di servizio1527-1530
GradoCommissario generale
GuerreGuerra della Lega di Cognac
BattaglieBattaglia di Gavinana



Effigie di Francesco Ferrucci in un francobollo coloniale italiano del 1930



Raffigurazione di Francesco Ferrucci all'assedio di Volterra in un francobollo coloniale italiano del 1930


Francesco Ferrucci, noto anche come Francesco Ferruccio[2] (Firenze, 14 agosto 1489Gavinana, 3 agosto 1530), è stato un condottiero italiano, al servizio della Repubblica di Firenze.

 

Biografia

I primi anni


Maramaldo uccide Ferrucci, francobollo delle poste italiane emesso per il 4º centenario della morte di Francesco Ferrucci - 10 luglio 1930


Francesco Ferrucci era nato a Firenze il 14 agosto del 1489 da una famiglia di mercanti in una casa ancor oggi esistente in via Santo Spirito dove, dopo la sua morte fu posta una targa commemorativa. Suo padre lo avrebbe voluto mercante ma il suo carattere impulsivo e deciso gli faceva preferire la caccia alla mercatura. Da ragazzo aveva fatto parte dei “fanciulli del Savonarola”, capeggiando la parte più intollerante nel sequestrare e distruggere gli oggetti accusati di essere espressione di lusso, "impudicizia" o paganesimo.

Una sua descrizione fisica la fornisce Filippo Sacchetti: "Uomo di alta statura, di faccia lunga, naso aquilino, occhi lacrimanti, colore vivo, lieto nell'aspetto, scarzo nelle membra...". Dotato di carattere esuberante, era propenso a far valere le proprie ragioni con la violenza. Nonostante questo, però, riuscì nel 1519 ad assumere l'incarico di podestà a Larciano, nel 1523 a Campi Bisenzio e nel 1526 a Radda in Chianti. Quando i Medici vennero cacciati da Firenze, nel 1527, Francesco, all'età di trentotto anni, entrò a far parte delle famose "Bande Nere".

Nelle complicate vicende belliche e politiche di quel periodo, Firenze si trovò ad essere seriamente minacciata dall'esercito dell'Imperatore Carlo V d'Asburgo, col quale il papa Clemente VII aveva creato un'alleanza nella speranza di restaurare nella capitale toscana la sua casata, quella dei Medici.

 

 

Commissario di Empoli

Nel 1528, Donato Giannotti, successore di Niccolò Machiavelli come storico e come segretario dei “Dieci della Guerra”, conscio dell'esperienza bellica del Ferrucci, lo nominò Commissario ad Empoli, castello importantissimo per il vettovagliamento dei centomila abitanti di Firenze.

Ad Empoli Ferrucci si distinse nei preparativi che precedettero l'Assedio di Firenze: fortificò le sponde dell'Arno, per permettere l'arrivo dei rifornimenti a Firenze anche in caso di assedio, radunò vettovaglie d'ogni tipo, curò l'addestramento delle poche milizie a sua disposizione ed infine fece tagliare alla base le torri perimetrali della cinta muraria per impedire che i tiri d'artiglieria le facessero rovinare creando dei ponti di macerie sui quali la fanteria nemica avrebbe potuto superare le mura.

 

 

L'assedio di Volterra

Tali preparativi furono completati appena poco prima che l'esercito imperiale, composto principalmente da Lanzichenecchi e altre truppe mercenarie, sotto il comando di Filiberto d'Orange, sconfitte le truppe fiorentine a Perugia e conquistata Arezzo, ponessero l'assedio a Firenze.

Poco tempo dopo, Volterra si ribellò a Firenze e la Signoria, con la nomina a Commissario di Campagna delle genti dei fiorentini, impose a Francesco Ferrucci di lasciare momentaneamente il caposaldo empolese per riconquistare la città.
Al tramonto del 27 aprile 1530, l'esercito di Ferrucci, composto da 4 compagnie di cavalleria e 7 di fanteria, assalì i bastioni e le trincee che bloccavano via della Fiorenzuola e dopo una sanguinosa battaglia, cui partecipò in prima linea lo stesso comandante, espugnò le posizioni dei volterrani.

A questo punto il Ferrucci non si fermò ma cominciò l'assalto alle posizioni nemiche presso piazza di Sant'Agostino conquistandole non senza lotta finché la notte interruppe i combattimenti.
La mattina seguente, Ferrucci inviò un messo ai volterrani minacciando che avrebbe messo a ferro e fuoco la città se questa non fosse ritornata all'obbedienza di Firenze. I volterrani, esausti dai combattimenti e privi di rinforzi, accettarono.

Poco tempo dopo, giunse a Volterra un distaccamento dell'esercito spagnolo, agli ordini di Fabrizio Maramaldo, un capitano di ventura, che pose prontamente l'assedio alla città ma, prima di iniziare la battaglia, il mercenario calabrese inviò un messo, altri affermano un tamburino, per intimare la resa a Ferrucci. Questi impose al messo di ritirarsi immediatamente aggiungendo che lo avrebbe impiccato se si fosse ripresentato.
Pochi giorni dopo Maramaldo inviò nuovamente presso la città quello stesso messaggero con l'incarico di seminare discordie tra i cittadini al che Ferrucci mantenne la parola e lo impiccò facendo infuriare Maramaldo.

Questi, trasferito il suo campo a San Giusto, comandò di scavare delle trincee per avvicinarsi alle mura ma una sortita dei difensori gli impedì di compiere l'opera.
Nel frattempo, il 29 maggio, Andrea Giugni, commissario di Empoli, corrotto dall'oro imperiale, dopo un breve assedio consegnò la città che fu violentemente saccheggiata. Il 13 giugno il Maramaldo, ricevuti come rinforzi le truppe di ritorno da Empoli, tentò un nuovo assalto a Volterra ma Ferrucci, sebbene ferito non cedette, imponendosi anzi sul nemico cui la sconfitta costò oltre 500 morti. La settimana seguente, dopo un altro assalto, ancora una volta fallito, Maramaldo lasciava Volterra per Firenze, carico di odio e rancore verso Ferrucci per l'umiliante disfatta.

Intanto la vittoria di Volterra entusiasmò i fiorentini, i quali ebbero modo di confrontare la condotta di Ferrucci con quella del Comandante Generale Malatesta Baglioni, sul quale ogni giorno di più s'addensavano sospetti di tradimento.

 

 

La battaglia di Gavinana


Francesco Ferrucci in un dipinto di Filippo Cianfanelli, esposto attualmente nella Sala delle Miniature di Palazzo Vecchio a Firenze



Dopo la battaglia, Francesco Ferrucci si ritirò a Pisa dove ricevette l'ordine dalla Repubblica Fiorentina di raccogliere più uomini possibile per poi tagliare i rifornimenti all'esercito imperiale ed infine tentare la liberazione della città mentre contemporaneamente la guarnigione sarebbe uscita per attaccare la retroguardia degli imperiali.

Il piano non era sbagliato, ma Malatesta Baglioni non ebbe fiducia nel progetto e propose invece al nemico patti di resa, dando così allo stesso comandante degli imperiali, Filiberto di Chalons, principe d'Orange, tempo sufficiente per abbandonare le colline a sud di Firenze per andare incontro alle truppe del Ferrucci. Poiché la via che risaliva da Pisa lungo il corso dell'Arno era ormai in mano alle truppe imperiali, Ferrucci fu costretto, nonostante la precaria salute[3], a salire verso l'Appennino, passando da Collodi.
Nell'ultima lettera di Francesco Ferrucci si legge:

«"Siamo allì 2 d' Agosto, e ci troviamo a Calamec, ed intendiamo Fabrizio che marcia alla volta di costà: domattina, piacendo a Dio, marceremo alla volta del Montale; e ci bisognerà, a voler pascere la gente, sforzar qualche luogo, perché non troviamo corrispondenza di vettovaglia. Francesco Ferrucci general Commissario".[4]»

Ferrucci, dopo aver fatto un consiglio di guerra a San Marcello Pistoiese, il 3 agosto 1530 uscì in campo aperto e tentò un ultimo scontro per spezzare l'assedio in quella che divenne la battaglia di Gavinana. Il capo delle truppe imperiali Filiberto di Chalons venne ucciso nel combattimento da due colpi di archibugio, ma Ferrucci venne sopraffatto da forze preponderanti, rimase di nuovo ferito e con i pochi superstiti si arrese decretando la fine della battaglia. Fabrizio Maramaldo si fece condurre il prigioniero sulla piazza di Gavinana ed ordinò:
«Ammazzatelo chillo poltrone, per l'anima del tamburino quale impiccò a Volterra![5]
Poiché i soldati non osarono alzare le mani sul comandante fiorentino ferito, lo disarmò e contro tutte le regole della cavalleria si vendicò delle offese precedenti, ferendolo a sangue freddo e lasciandolo poi trucidare dai suoi soldati.[6] Le cronache tra loro non concordano sul tipo di ferita inferta a Ferrucci, che viene indicata alternativamente al petto, o alla gola, o al viso, mentre tutte riportano che Francesco Ferrucci prima di spirare gli abbia rivolto con disprezzo le celebri parole:
«Vile, tu uccidi un uomo morto!»
o più fiorentinamente

Lo storico Paolo Giovio (1483-1552), invece, descrisse in questi termini il dialogo tra Fabrizio Maramaldo e Francesco Ferrucci:
«Poi il Ferruccio, così armato com'e gli era, fu menato dinanzi al Maramaldo. Allora il signor Fabrizio gli disse: pensasti tu mai quando crudelmente e contra l'usanza della guerra, tu impiccasti il mio tamburino a Volterra, dovermi venir nelle mani? Rispose egli: questa è una delle sorti che porta la guerra, la quale guerreggiando a te può ancora avvenire; ma quando anco tu m'ammazzi, non perciò né utile né onorata lode t'acquisterai della mia morte. Il signor Fabrizio tuttavia... gli fece cavare la celata e la corazza e gli passò la spada nella gola.»

Dieci giorni dopo Firenze si arrese agli imperiali e dovette accettare il rientro dei Medici.
Il sacrificio di Ferrucci è diventato, in epoca risorgimentale, emblema del sentimento di orgoglio nazionale, e il nome del suo aggressore (Maramaldo) è divenuto, per antonomasia, sinonimo di "uomo malvagio, spavaldo e prepotente soprattutto con i deboli, gli indifesi, gli sconfitti"[8] (essere un "maramaldo", atto "maramaldesco").

Commemorazioni

  • Il condottiero fiorentino è citato nella quarta strofa dell'Inno di Mameli:
«Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.»

  • Nella piazza centrale di Gavinana, oggi una frazione del comune di San Marcello Piteglio, si può ammirare, dal 22 agosto 1920[9][10], la statua equestre del condottiero fiorentino, opera dello scultore suo concittadino Emilio Gallori.
  • Nell'agosto 1929, in vista del quattrocentenario della morte, fu acquistata e restaurata la casa ex Battistini nella Piazza principale di Gavinana, sulla cui soglia, secondo la tradizione, Ferrucci morì.
  • La sua casa natale si trova a Firenze in via Santo Spirito (zona Oltrarno) ed è segnalata da una targa commemorativa.
  • A San Marcello Pistoiese, una targa commemorativa di un edificio sito in via Roma ricorda il suo breve passaggio in paese.

Note

  1. ^ L'effige però non è realistica in quanto, per omaggiare il duce, i tratti somatici di Ferrucci sono identici a quelli di Benito Mussolini
  2. ^ Francesco Domenico Guerrazzi, Vita di Francesco Ferruccio, Milano, M. Guigoni, 1865.
  3. ^ Era già debilitato da una ferita ad un ginocchio, che si era procurato a Volterra e che stentava a rimarginarsi ed era inoltre convalescente per una febbre malarica contratta in Maremma
  4. ^ Ultima lettera di Francesco Ferrucci,Eugenio Alberi, Documenti sull'Assedio di Firenze,1840.
  5. ^ Informatore - Maramaldi e condottieri - Unicoop Firenze
  6. ^ Deputazione napoletana di storia patria, Naples, Società napoletana di storia patria, Archivio storico per le province napoletane, Volume 3, Detken & Rocholl e F. Giannini, 1818.
  7. ^ Aldo Valori, La difesa della Repubblica fiorentina, Vallecchi, 1929
  8. ^ voce: maramaldo, Treccani.it
  9. ^ Gravinana: Monumento Equestre a Francesco Ferrucci, su gavinana.com. URL consultato il 17 marzo 2009.
  10. ^ Miliziade Ricci, Per la gloria di Francesco Ferrucci: inaugurandosi il monumento equestre a Gavinana[collegamento interrotto], Gavinana: Comitato dei festeggiamenti a Ferrucci, 1920 (Pistoia: Pacinotti), 1920, pp. 76 pag.. URL consultato il 17 marzo 2009.


sabato 3 agosto 2019

Campo Tizzoro 44 - Rievocazione storica (slideshow)

Nella località di Campotizzoro, nel 1910, per volere di Luigi Orlando sorse uno stabilimento di munizioni belliche che di lì a poco avrebbe costituito la fortuna del paese. La S.M.I. (Società Metallurgica Italiana), diventò subito una grande risorsa, fornendo impiego a tutti gli abitanti della montagna e facendo rifiorire la località, dove si sviluppò un nucleo urbano al servizio dell’azienda e dei suoi dipendenti.
In previsione della Seconda Guerra Mondiale, furono costruiti dei rifugi antiaerei ad una profondità di 20 metri, che in caso di attacchi o bombardamenti avrebbero salvato gli operai e gli abitanti della zona. Il bunker sotterraneo, lungo circa 3,5 km, infatti, avrebbe potuto ospitare fino a 6000 persone per un periodo di 6 mesi.

Il museo, gestito dall’Istituto di Ricerche Storiche e Archeologiche, permette ai i visitatori di immedesimarsi in una realtà a noi fortunatamente distante: il tetro percorso sotterraneo riproduce il contesto di vita drammatico che gli operai e le loro famiglie dovettero sopportare durante la guerra, ma è anche un ammirevole esempio dei numerosi benefici apportati dalla S.M.I. al paese di Campotizzoro.

L’iniziativa ripercorre i fatti storici legati all’attivazione della Linea Gotica nel 1944 nella zona della montagna pistoiese. Albert Kesserling, comandante generale tedesco e feldmaresciallo, fu impegnato presso Campo Tizzoro per supervisionare la produzione di munizionamento per le truppe. Pochi conoscono i fatti e gli episodi che legarono la presenza tedesca nel territorio della montagna pistoiese fra l’estate e l’autunno del 1944. Il museo, con la ricostruzione storica cerca di ripercorrere quei momenti salienti che interessarono la montagna pistoiese e la fabbrica S.M.I., quando il direttore dello stabilimento nel ’44 era Kurt Kayser Orlando, mandato dalla direzione a sovrintendere la produzione. Orlando si oppose fermamente al tentativo di deportazione di tecnici specializzati per i bunker factory di Gardone ad opera del generale tedesco. Vengono ripercorsi i momenti cruciali e drammatici fra la presenza dei tedeschi e l’arrivo dei partigiani che liberarono la fabbrica nel ’44. Proprio nelle gallerie della S.M.I uno dei momenti salienti dell’iniziativa è la ricostruzione storica dell’ingresso dei partigiani che vi accedono per liberare la fabbrica, con l’ausilio e la collaborazione dei familiari degli operai della S.M.I sfollati, che pernottavano nei rifugi antiaerei.